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Il welfare del futuro

Il welfare del futuro

I bisogni e le aspettative dei lavoratori italiani

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INTRODUZIONE

Lo scenario del welfare aziendale in Italia evidenzia una crescente esigenza di evoluzione, in risposta ai profondi cambiamenti demografici, sociali e professionali che caratterizzano il nostro tempo. La popolazione italiana è in calo, con un aumento delle fasce di età più anziane e una trasformazione radicale delle strutture familiari.

Entro il 2040, le persone over 65 rappresenteranno oltre il 32% della popolazione, con un incremento significativo delle famiglie unipersonali. Questo contesto socio-demografico genera sfide importanti per le imprese, chiamate a ripensare il welfare aziendale secondo modelli personalizzati e innovativi.

Nasce da queste consapevolezze l’indagine “Osservatorio Welfare del Futuro”, del Centro Studi del Gruppo 24 ORE con Gruppo Pellegrini, finalizzata a indagare i livelli di soddisfazione dei lavoratori dell’attuale proposta di servizi di welfare aziendale, per aiutare le imprese ad affrontare e superare le sfide del futuro.

Il quadro che emerge non è brillante: riflette una soddisfazione appena sufficiente guardando alla proposta odierna ma soprattutto sono ridotte le aspettative su quanto le aziende saranno in grado di essere vicine alle necessità personali dei propri dipendenti e alla capacità di aiutarli per i propri bisogni.

A determinare le principali criticità è anche l’incapacità dei sistemi di welfare di adattarsi in tempi rapidi alle trasformazioni della società: dalle famiglie che cambiano ai talenti che scarseggiano, incidendo sulla dinamica di offerta e domanda di lavoro.

La competizione per attrarre e trattenere talenti specializzati, infatti, diventa una sfida cruciale. In un contesto in cui tre aziende su quattro faticano a reperire profili adeguati, il welfare aziendale si rivela uno strumento strategico per costruire fidelizzazione ed employer branding. Secondo i dati raccolti, infatti, tre dipendenti su quattro senza welfare cambierebbero lavoro se ricevessero una proposta che lo includesse; quasi la metà di chi invece l’ha già sarebbe disposto a cambiare occupazione in caso di una sua riduzione, con percentuali ancora più elevate tra giovani e donne.

Investire in piani strutturati e comunicati in modo efficace si traduce in un aumento della fiducia nei confronti dell’azienda e nella riduzione del turnover.

Nonostante i progressi compiuti, l’indice di soddisfazione elaborato dall’indagine colloca l’Italia su un livello appena sufficiente, evidenziando ampi margini di miglioramento.

L’offerta attuale, sebbene più strutturata nelle grandi imprese, resta spesso inadeguata nel rispondere tempestivamente alle esigenze di una forza lavoro diversificata. I bisogni di personalizzazione, flessibilità e Work/Life balance sono particolarmente sentiti dalle nuove generazioni e dalle lavoratrici, segmenti che esprimono una domanda crescente di modelli inclusivi e innovativi.

Lo smart working, che coinvolge oggi oltre 3,5 milioni di italiani, rappresenta una soluzione sempre più diffusa per favorire l’equilibrio tra vita professionale e personale.

Tuttavia, permangono differenze significative tra le grandi imprese, che stanno consolidando questa modalità, e le Pmi, dove il suo utilizzo è ancora limitato. In un mondo del lavoro in trasformazione, il welfare aziendale diventa un simbolo della capacità delle imprese di rispondere ai bisogni di una società in evoluzione, partendo dal tema del benessere psico-fisico, sempre più rilevante per gli occupati.

Per essere efficaci, le politiche di welfare devono andare oltre l’offerta standardizzata, integrando flessibilità, sostenibilità e inclusività. Questo approccio non solo migliora la qualità della vita dei lavoratori, ma rafforza anche il posizionamento strategico delle aziende, rendendole più competitive e resilienti di fronte alle sfide future.


LE NUOVE SFIDE PER L’ITALIA CHE CAMBIA. ECCO I QUATTRO PARADIGMI

Calo delle nascite e maggiori aspettative di vita richiedono nuovi servizi: la priorità diventa un’offerta su misura.

Sarà la socio-demografia a determinare i nuovi modelli e sistemi di welfare aziendali del futuro. Nello scenario proiettato al futuro, disegnato da Future Concept Lab per Pellegrini, sono quattro i principali modelli che emergeranno, fortemente orientati alla personalizzazione in funzione delle esigenze generazionali e basati su altrettanti paradigmi: Unique & Universal, Crucial & Sustainable, Trust & Sharing, Quick & Deep.

Le sfide della demografia

Il welfare del futuro dovrà fare i conti con profonde trasformazioni che stanno attraversando la società italiana, a partire dai numeri. Come testimoniato dall’Istat, negli ultimi 10 anni, la popolazione ha subito un calo costante che l’ha portata a quota 58,7 milioni: in futuro diminuirà ulteriormente fino a toccare i 56,5 milioni nel 2040, con circa 2 milioni e mezzo di individui in meno. In questo quadro aumenta il peso delle classi più anziane e si registra anche un costante incremento della quota femminile rispetto a quella maschile. Bassi tassi di natalità e maggiori aspettative di vita stanno conducendo a un generale invecchiamento della popolazione in tutti gli stati membri dell’Unione Europea. Nel 2040 le persone di 65 anni e più potrebbero rappresentare il 32,5% del totale secondo lo scenario mediano di proiezione Istat della popolazione. I giovani fino a 14 anni di età, sebbene si preveda una fecondità in parziale recupero, potrebbero rappresentare entro il 2040 meno del 10% del totale. Sul piano delle relazioni intergenerazionali si presenterà quindi un rapporto decisamente squilibrato tra over 65 e ragazzi, nella misura di oltre tre a uno. Cambierà anche il volto della famiglia, in termini assoluti, si prevede che al 2040 vivranno sole quasi 9,7 milioni di persone, di cui circa 5,7 avranno 65 anni e più, con una crescita del 42% rispetto al 2024. Solo una famiglia su quattro (26% circa) sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque (21,8%) non ne avrà.

Il nuovo welfare

È in questo scenario che le imprese modelleranno una nuova offerta di servizi a supporto dei propri dipendenti, partendo proprio dai quattro paradigmi che si fanno priorità e valori per gli individui. Unique & Universal sono gli aggettivi che meglio racchiudono le caratteristiche delle persone tra i 55 e i 64 anni, con priorità definite che guardano alla condivisione, all’unicità ma anche a un solido legame intergenerazionale che affonda le sue radici nella memoria, in un sistema di valori condivisi. Il welfare su misura per questa tipologia di lavoratori guarda all’unicità e alla qualità degli spazi aziendali e valorizza le attività culturali, avvia programmi per le pari opportunità basati proprio sul sistema di valori condiviso, che trova nella memoria comune il suo pilastro, e puntano alla vicinanza morale e culturale verso i propri dipendenti alle prese con l’assistenza di genitori anziani. Ambasciatori del paradigma Crucial & Sustainable sono i dipendenti di età compresa tra i 35 e i 44 anni, edonisti e attenti alla sostenibilità. Le più diverse formule e pacchetti di welfare devono rafforzare con maggiore convinzione l’offerta di servizi e soluzioni sostenibili in un’ottica valoriale: da quelli di nicchia ai mainstream, dalla tutela ambientale alla rigenerazione umana e ambientale, contribuendo così alla crescita sostenibile della filiera e della comunità. Attraverso il paradigma Trust & Sharing, l’evoluzione verso il welfare si misura con passaggi fondati sulla fiducia e la condivisione. Ambasciatori generazionali sono le persone tra i 45 e i 54 anni. Il welfare, in questo caso, ha il compito di alimentare un’alleanza tra azienda e dipendenti, per governare le occasioni educative e le opzioni di cura, in un permanente flusso e scambio di proposte e servizi nella direzione della prevenzione e del benessere. Significa attivare, altresì, percorsi educativi ad ogni fase lavorativa per dipendenti e familiari, dalla formazione linguistica a quella digitale, per un benessere sociale. Infine, il paradigma Quick & Deep è proprio dei giovani adulti (25-34 anni), che vivono in una dimensione di concertazione complessiva e di servizi diversificati e ricercano un’azienda che diventi partner aiutando nelle scelte. Sono in linea con questa visione le iniziative aziendali a vantaggio di comunità e associazioni che promuovono «benefici» individuali (dal sostegno al talento ai bisogni abitativi dei giovani studenti), segnali di credibilità e profondità comunicativa.


WELFARE, ITALIA PROMOSSA SOLO CON LA SUFFICIENZA

L’indice si attesta a 65 su 100 per i lavoratori.

I servizi di welfare aziendale attuati dalle imprese italiane sono considerati appena sufficienti dai lavoratori e la situazione non cambia guardando al futuro. L’indice del welfare percepito dai dipendenti delle aziende della Penisola riflette un quadro di bassa soddisfazione ma soprattutto, considerando quello del welfare atteso, aspettative ridotte su quanto le stesse saranno in grado di essere vicine alle necessità personali dei propri dipendenti e alla capacità di aiutarli per i propri bisogni.

Il valore, frutto del confronto tra giudizio al sistema attuale e aspettative per il futuro, si attesta a 65 su 100, sintesi delle risposte raccolte a nove domande-chiave, le quali disegnano, opportunamente pe-
sate, i diversi aspetti del welfare e fanno riferimento allo scenario in corso (cinque) e alle prospettive (quattro quesiti). Scorrendo le varie risposte appare come questo dato sia frutto di una valutazione migliore della situazione attuale ma anche di una sfiducia palese riguardo al futuro. Sensibile la differenza di genere: se per gli uomini il giudizio medio per il welfare di oggi è pari a 67 e 63 per le aspettative, per le donne le cifre scendono rispettivamente a 62 e 58.

I giudizi più favorevoli arrivano da famiglie e dipendenti di grandi aziende. Nel dettaglio, le rilevazioni evidenziano una maggiore soddisfazione da parte di lavoratori con uno o più figli (l’indice complessivo si attesta a 68, quello prospettico a 66), di cui almeno uno minore, rispetto ai single (i dati scendono rispettivamente a 60 e 54 punti). Guardando alla dimensione delle imprese, invece, i dipendenti delle imprese con oltre 500 occupati promuovo con 69 il welfare aziendale (66 per le aspettative), mentre la soddisfazione degli occupati nelle imprese con 10-49 dipendenti scende a 58 punti (54 quello prospettico).

Uno scenario in chiaroscuro, che ben sintetizza quanto emerge dalla lettura analitica dei dati. C’è soddisfazione per quanto già le imprese hanno fatto, soprattutto a partire dal post-pandemia; questa, tuttavia, si unisce alla percezione dell’inadeguatezza dell’offerta attuale nel potersi adattare rapidamente ai bisogni futuri dei lavoratori italiani. Un leit-motiv che emerge a più riprese nell’indagine.


TALENT SHORTAGE, IL WELFARE DIVENTA LA CHIAVE PER ATTRARLI

Senza un’offerta di servizi aggiuntivi tre lavoratori su quattro lascerebbero la propria occupazione. Per donne e giovani è un elemento determinante.

La partita per i talenti si gioca sul welfare: sono sempre più numerose le analisi che evidenziano il forte dislivello tra domanda e offerta di competenze specializzate. Le imprese sono impegnate in una vera e propria caccia ai candidati migliori, un fenomeno generalizzato che riguarda settori produttivi trasversali, non solo l’ambito Ict.

Una delle leve su cui si gioca questa vera e propria competizione è quella del welfare aziendale. Per le imprese che non offrono servizi di questo tipo, infatti, il rischio di trovarsi a dover gestire fuoriuscite anticipate di competenze è alto: 3 lavoratori su 4 lascerebbero la propria occupazione se questi venissero loro offerti altrove. La forbice si allarga in particolare per le donne (+8% rispetto agli uomini) e per i giovani (+15%). Laddove invece sono già presenti, a fronte di una loro riduzione ben un lavoratore su due cercherebbe un’altra occupazione. Il welfare aziendale si afferma come un potente magnete per attrarre e trattenere i talenti.

Sos in tutta Europa

La carenza di figure professionali con competenze specializzate è una delle sfide strategiche che l’intera Unione Europea dovrà affrontare nei prossimi anni. I cambiamenti demografici e l’aumento della domanda di lavoratori con skill sempre più specifiche, come quelle necessarie per le transizioni digitale e green, stanno dettando i tempi di una trasformazione che sta generando un profondo divario tra richiesta e offerta di competenze. Quasi due terzi (63%) delle piccole e medie imprese, secondo un’indagine Eurobarometro, non riescono a trovare i talenti di cui hanno bisogno.

Entro il 2030 si prevede la creazione di 3,5 milioni di nuovi posti di lavoro nel solo settore delle energie rinnovabili. Inoltre, la Commissione Europea ha individuato ben 42 professioni che considera caratterizzate proprio da scarsità di personale a livello dell’UE. Secondo le stime del World Economic Forum, nel mondo, entro il 2030 la carenza di talenti riguarderà più di 85 milioni di persone: potenzialmente circa 8,5 trilioni di dollari di entrate annuali non verranno realizzate. Oggi, tre aziende su quattro non riescono a trovare i profili ricercati.

In Italia, secondo l’ultimo Osservatorio sulle Competenze Digitali, nel 2022 mancavano 175mila specialisti digital, con una gara a contendersi le risorse che vede contrapposte le grandi aziende e le numerose piccoli e medie IT.

Situazione non diversa per altre figure professionali: a giugno 2023 la difficoltà di reperimento del personale è al 47,6% per le medie imprese ma sale al 59,2% per gli operai specializzati e gli addetti ai macchinari, secondo un’analisi dell’Ufficio Studi su dati Unioncamere-Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che stima un costo del mismatch tra offerta e domanda di competenze per le micro e piccole imprese di 13,2 miliardi di euro, pari allo 0,81% del valore aggiunto.


LA NUOVA FAMIGLIA ITALIANA
PIÙ ASPETTATIVE PER IL FUTURO

Welfare aziendale più vicino alle coppie con figli minorenni. Aumenta la popolazione single, la nuova sfida per le imprese.

Ruoli e situazione familiare marcano una profonda differenza nella valutazione dei servizi di welfare aziendale. Se una fetta consistente del personale dirigenziale e impiegatizio ha registrato un netto miglioramento dell’offerta nell’ultimo triennio, operai, tecnici e apprendisti lo hanno percepito soltanto in un caso su tre. Ma è soprattutto il tema famiglia a segnare uno spartiacque nel giudizio sui servizi.

È grande, infatti, la distanza di percezione tra i single (40%) e le coppie con figli minorenni (53%): una differenza che, associata ad un più alto livello di soddisfacimento di queste ultime, si fa indizio di come i servizi di welfare sembrino essere fortemente orientati alle strutture familiari “tradizionali”. L’offerta a supporto dei dipendenti ha però migliorato l’esperienza lavorativa dei più giovani. È così per il 41% di chi ha meno di 34 anni, mentre la percentuale si riduce alla metà per gli over 55. Il welfare resta determinante per i lavoratori del Mezzogiorno e per le famiglie con dei figli minorenni (in entrambi i casi quattro su dieci).

Lavoratori critici sul futuro

L’idea di famiglia espressa dai sistemi di welfare, però, riflette una difficoltà a essere al passo con i tempi e a rispondere tempestivamente alle esigenze di una popolazione che cambia, anche nella sua idea di famiglia. Elementi che si ripercuotono nel giudizio complessivo sulla condizione attuale dei servizi di welfare, considerati solo sufficienti rispetto all’allineamento con le esigenze o aspettative dei dipendenti. In termini di attese per il futuro ben il 30% dei lavoratori lo valuta insufficiente e solo il 13% attribuisce un 9 o un 10. La necessità di avere risposte su misura in breve tempo è una delle priorità indicate dal campione di lavoratori che ha risposto all’indagine: quattro su dieci identificano la tempestività come prioritaria per lo sviluppo atteso nell’offerta di welfare. In particolare, è la capacità dell’azienda di rispondere immediatamente alle richieste e alle esigenze a fronte di specifiche urgenze quello che più di altri catalizza l’attenzione dei lavoratori.

Il nuovo volto della famiglia italiana

Un tema da affrontare, soprattutto alla luce delle importanti trasformazioni che la società italiana sta attraversando. L’ultimo rapporto Istat certifica il sorpasso dei single sulle coppie con figli: i primi rappresentano il 33,2% degli italiani, contro il 31,2% delle seconde. I nuclei familiari unipersonali, che oggi rappresentano un terzo del totale complessivo, sono cresciuti di quasi 10 punti percentuali nel 2022 rispetto al periodo 2001-2002, per un totale di 8.365.000 individui tra single, separati e vedovi che non si sono mai risposati. A tracciare un ritratto degli italiani che vivono da soli, nel 2023, è il Rapporto Eurispes: per il 37,1% si tratta di una scelta personale ma per molti (62,9%) rimane una scelta obbligata da altri fattori. La maggioranza (58,9%) non ritiene che essere single dia più opportunità che limitazioni, mentre la pensa così il 41,1% degli intervistati. Per la metà del campione (50,2%) questa condizione significa sentirsi libero, per il 46,8% dei rispondenti quella del single è una condizione non dettata da una scelta personale, ma in qualche modo subita.


WELFARE, RUOLO CENTRALE PER SOSTENERE ATTIVAMENTE L’OCCUPAZIONE FEMMINILE

Le dipendenti chiedono una maggiore personalizzazione dei servizi e la possibilità di bilanciare famiglia e lavoro.

Nella valutazione dei servizi di welfare aziendale il genere fa la differenza. Il giudizio femminile è più critico rispetto a quello maschile, anche perché le donne hanno minor accesso ai piani di welfare con ben dieci punti percentuali di differenza. Le principali richieste delle lavoratrici riguardano una maggiore elasticità, personalizzazione e inclusività rispetto ai propri colleghi. Sul fronte dei congedi parentali, sebbene la percentuale di richiesta femminile sia superiore rispetto ai maschi, la forbice è solo del 5% (22% contro 17%).

Un terzo delle mamme lavoratrici in Europa lavora part-time

Nel 2023, secondo una recente indagine Eurostat, il 31,8% delle donne occupate di età compresa tra 25 e 54 anni con figli nell’Ue era impegnata in un lavoro part-time, contro il 20% delle donne occupate senza figli. Per gli uomini, invece, una percentuale inferiore di quelli con figli lavorava a tempo parziale (5%) rispetto alle loro controparti senza (7,3%). La quota di madri che non è occupata a tempo pieno superava quella delle lavoratrici senza figli in tutti i Paesi dell’Ue ad eccezione di Danimarca, Finlandia, Lettonia, Grecia e Romania. Più in generale, il tasso di occupazione per le prime nell’Ue era del 74,9%, che è inferiore a quello del 79,7% per le donne senza figli. Svezia e Slovenia (87,8%), Norvegia (85,3%), Portogallo (84,9%) e Danimarca (84,0%) presentano i livelli di impiego più elevati per quelle con figli. La Repubblica Ceca presenta la differenza più ampia (19,2 punti), con una percentuale molto alta pari al 91,9% per le lavoratrici non madri, mentre l’Italia registra il tasso di occupazione più basso sia per le donne con figli (61,2%) che per quelle senza (66,4%) nell’Unione europea.

La fotografia italiana

I dati del dossier “Occupazione femminile” del Servizio Studi della Camera restituiscono un quadro ricco di criticità nella rappresentazione del binomio donne e lavoro in Italia. Oltre al gap con l’Unione europea, infatti, pesa la differenza tra la popolazione occupata maschile e quella femminile nel mondo del lavoro: le donne, infatti, sono circa 9,5 milioni, gli uomini sono circa 13 milioni. Una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità, indice della difficoltà di conciliare esigenze familiari con l’attività lavorativa. Il dato riflette la necessità di una trasformazione culturale, in un Paese in cui il peso della famiglia, troppo spesso, ricade ancora esclusivamente sulle donne. La decisione di lasciare il lavoro è determinata per il 52% delle lavoratrici da esigenze di conciliazione e per il 19% da considerazioni economiche. In generale, il divario occupazionale tra uomini e donne è pari al 17,5%, percentuale che aumenta in presenza di figli e arriva al 34% in presenza di un figlio minore nella fascia di età 25-54 anni.

Gender Pay Gap

Quando si parla di occupazione femminile emerge con forza anche un altro tema noto come “gender pay gap”, quello della differenza di retribuzione tra uomini e donne a parità di mansioni e occupazione. Secondo gli ultimi dati Eurostat, il divario salariale legato al genere era pari al 12,7% nell’Unione europea. L’Estonia registra la differenza maggiore, pari al 21,3%, seguita da Austria (18,4%), Svizzera e Repubblica Ceca (entrambe al 17,9%). I Paesi con il gap retributivo più basso sono stati Italia, Romania e Belgio, tutti con un gap inferiore al 5%. Secondo i dati dell’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell’Inps, però, nello stesso anno la retribuzione media annua è costantemente più alta per gli uomini, con una differenza di 7.922 euro (26.227 euro per gli uomini contro 18.305 euro per le donne). La Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 ha tra gli obiettivi quello di ridurre il gender pay gap nel settore privato dal 17 al 10%.


WELFARE COME MOTORE PER FEDELTÀ ED EMPLOYER BRANDING

L’offerta di servizi integrativi diventa fondamentale per il passaparola e per la permanenza in azienda dei talenti.

Resta alta, tra gli italiani, la tentazione di cambiare lavoro. Anche se il ritmo delle grandi dimissioni rallenta, dopo il boom della pandemia, c’è ancora una quota pari al 36% dei lavoratori intervistati dal Global Talent Barometer di ManpowerGroup che valuta la possibilità di lasciare la propria occupazione in cerca di nuove opportunità.

A questa tendenza le aziende possono rispondere con una valida offerta di servizi di welfare: la presenza di piani espliciti, policy chiare e divulgate e servizi formali, infatti, è in grado di generare un passaparola positivo che mette in atto veri e propri meccanismi di accreditamento delle imprese. L’esistenza di una strategia complementare di supporto alle esigenze dei propri dipendenti, infatti, fa consigliare l’azienda come un buon posto di lavoro 4 volte di più rispetto a quelle realtà dove, invece, il welfare è assente. Inoltre, la stessa presenza di questi servizi motiva a rimanere più a lungo in azienda ben 3 volte di più rispetto a dove mancano. Passa da questa strada anche la possibilità di instaurare un solido e duraturo rapporto di fiducia tra l’impresa e i propri dipendenti. Nelle realtà produttive che hanno scelto di formalizzare e rendere stabile un sistema di welfare, cresce la fiducia dei lavoratori nell’impresa stessa: essa è ritenuta (nel 78% dei casi) in grado di seguire l’evoluzione dei bisogni e adattarsi di conseguenza. Solo uno su cinque, tra gli intervistati, non dà la sufficienza mentre il 17% assegna invece un voto di ben 9 o 10 decimi. Viceversa, laddove il welfare non c’è, si genera sfiducia. Cresce la distanza tra richieste dei dipendenti e la loro soddisfazione. Per due su tre, infatti, l’azienda per la quale lavorano sarà incapace di adattarsi al nuovo scenario.

Imprese e Gen Z, un dialogo possibile

A chiedere nuovi modelli lavorativi e una nuova attenzione alla persona da parte delle imprese sono soprattutto i giovani della Generazione Z, ragazzi nati tra il 1997 e il 2012, che a livello globale costituiranno quasi il 30% della forza lavoro entro il 2025, secondo le stime del World Economic Forum. Sono diverse le ricerche che evidenziano le richieste di questi giovani occupati e le parole che ricorrono maggiormente sono flessibilità, velocità, formazione, bilanciamento tra vita privata e lavoro (Work/Life balance). Tra le priorità anche quella di condividere i valori dell’azienda per la quale si lavora e sentirsi parte di un progetto a impatto sociale. L’Osservatorio EY dedicato alla Gen Z ne restituisce un ritratto completo, quello di una generazione caratterizzata da una sorta di doppia identità, una fisica e l’altra digitale, il cui equilibrio è piuttosto delicato. Un dualismo con anime distinte, dotate di bisogni diversi e talvolta inconciliabili, se non addirittura in opposizione tra di loro, che può essere causa di incertezza e frustrazione. Un ambito in cui la Generazione Z esprime appieno le proprie contraddizioni tra forza e fragilità è proprio il mondo del lavoro. Se da una parte, oltre la metà dei giovani si sente in apprensione per le responsabilità lavorative, dall’altra molti si dichiarano convinti di voler perseguire la carriera imprenditoriale. Diverse le motivazioni che li spingono in questa direzione: sentirsi importanti per il 20% circa dei nativi digitali italiani e per il 25% di quelli americani. Nella scelta del lavoro risulta inoltre importante il Work/Life balance, oltre la metà del campione, il 57%, preferisce un’attività professionale che permetta di concedersi il tempo per sviluppare progetti e passioni personali.


WORK/LIFE BALANCE, LA VERA SFIDA PER LE IMPRESE

L’equilibrio tra la vita privata e quella lavorativa è una priorità per i dipendenti. Attenzione anche a buoni pasto e bonus.

C’è una priorità nelle indicazioni dei lavoratori italiani per un modello di welfare valido: offrire misure capaci di favorire il bilanciamento tra vita lavorativa e quella privata. Work/Life balance, un tema sempre più rilevante per gli occupati. I driver principali del cambiamento, infatti, saranno proprio l’aumento della domanda di equilibrio tra vita lavorativa e personale, oltre a una maggiore attenzione al benessere mentale e servizi capaci di favorire la diffusione del lavoro ibrido o da remoto.

Obiettivi e tempi certi sono espressione di piani di welfare strutturati, proprio gli strumenti che, secondo i lavoratori, potrebbero accorciare maggiormente la forbice tra aspettativa e risultato, incidendo in maniera positiva sui giudizi e sulla qualità della vita degli occupati stessi. I dipendenti, infatti, desiderano strumenti che sappiano adattarsi rapidamente ai loro bisogni e che coprano le differenti necessità che possono presentarsi.

Buoni pasto e benefici economici restano, però, tra i supporti più richiesti anche guardando al futuro. La necessità più frequente, ben 1 lavoratore su 2 la cita tra le differenti opzioni, è quella di avere strumenti che aiutino dal punto di vista economico, quali i buoni pasto. La seconda opzione è la flessibilità lavorativa che viene indicata nel 42% dei casi e rappresenta il secondo pilastro del welfare maggiormente desiderabile.

Work/Life balance, c’è tanta strada da fare

Una recente indagine condotta da Remote, piattaforma di ricerca di lavoratori da remoto, ha indagato la soddisfazione degli occupati europei proprio in merito alla capacità di creare opportunità lavorative fondate sul bilanciamento vita-lavoro. L’Italia ottiene un punteggio basso, fra i peggiori Paesi in Europa su questo fronte: quart’ultima. Dietro ci sono solo Ungheria, Slovacchia e Romania. La Germania è dodicesima, la Gran Bretagna settima, la Francia terza e la Spagna seconda. Il Paese in Europa dove ci sono le condizioni per coniugare al meglio vita lavorativa ed esigenze personali è il piccolo Lussemburgo.

Il ritratto di Ipsos

Secondo il report “Italia 2024: un Paese divergente”, è soprattutto la Gen Z a porre l’accento sulla necessità di un’occupazione capace di lasciare tempo alla cura della persona e delle sue passioni. La Generazione Z sta cambiando il modo in cui vedere il lavoro, ponendo l’accento sulla necessità di avere un maggiore equilibrio tra vita lavorativa e vita privata. Sono spesso alla ricerca di lavori che consentano loro di mantenere un sano equilibrio tra queste due sfere, che si traduce in una maggiore flessibilità nell’orario lavorativo o nella possibilità di lavorare da remoto. Nonostante ciò, il 61% afferma di sentirsi stressato, anche a causa della loro ambizione di raggiungere alti livelli di successo: il 59% della Gen Z riferisce di voler raggiungere i vertici della propria carriera. Mostrano una forte inclinazione verso l’autonomia nel loro approccio al lavoro, preferiscono avere il controllo del loro tempo e del loro spazio di lavoro, e apprezzano la possibilità di lavorare in modo indipendente. Questo non vuol dire che non amino la collaborazione. Infatti, riconoscono il valore del lavoro di squadra e della condivisione delle idee, ma desiderano avere la possibilità di esprimere la propria individualità e creatività.

Smart worker: in Italia sono 3,5 milioni

Tra le misure che potrebbero favorire il Work/Life balance c’è lo smart working. Secondo l’Osservatorio dedicato della Business School del Politecnico di Milano, il numero di lavoratori da remoto nel 2024 è sostanzialmente stabile: 3,55 milioni rispetto ai 3,58 milioni del 2023 (-0,8%). Lo smart working cresce nelle grandi imprese, dove coinvolge quasi 2 milioni di lavoratori (1,91 milioni, +1,6% sul 2023), vicino al picco della pandemia, con il 96% delle grandi organizzazioni che oggi hanno consolidato delle iniziative. Cala invece nelle Pmi, passando a 520mila lavoratori dai 570mila dell’anno scorso, e resta sostanzialmente stabile nelle microimprese (625mila nel 2024, 620mila nel 2023) e nella PA (500mila nel 2024, 515mila nel 2023). Per il 2025 si prevede una crescita del +5%, che porterebbe a toccare 3,75 milioni.


SANITÀ, IL WELFARE AZIENDALE FAVORISCE L’ACCESSO ALLE CURE

Cresce la spesa privata e si allungano le liste di attesa. Strategico il supporto delle imprese per il diritto alla salute.

Spesa privata in crescita e non sostenibile dalle famiglie: per soddisfare i bisogni sanitari la popolazione italiana spende privatamente oltre 42 miliardi di euro l’anno, una cifra che pesa per oltre il 21% sulle famiglie più povere. È quanto emerge dall’ultimo Rapporto C.r.e.a. Sanità “Manutenzione o Trasformazione: l’intervento pubblico in Sanità al bivio”. I conti, sottolinea l’analisi, sarebbero ancora più alti considerando che 3,4 milioni di nuclei familiari dichiarano di rinunciare a consumi sanitari, di cui 1,2 milioni li azzerano.

Anche le più recenti rilevazioni della Fondazione Gimbe confermano la forte crescita della spesa dei cittadini privati per le cure. In un contesto di crescenti difficoltà del Servizio Sanitario Nazionale, che ormai copre solo i tre quarti della spesa sanitaria complessiva in Italia, quella out-of-pocket pro-capite è pari a 1.115 dollari, supera sia la media Ocse che quella dei paesi Ue (906 dollari), con una differenza di 209 dollari.

Tempi d’attesa interminabili

Il recente aggiornamento dell’indagine sulle liste d’attesa di Federconsumatori pubblicata nel febbraio 2025 fotografa uno scenario critico, evidenziando attese record per visite specialistiche ed esami diagnostici, rilevate sui siti istituzionali di regioni e aziende sanitarie.

Il report evidenzia che, sebbene alcune regioni abbiano cercato di migliorare le performance, persistono gravi carenze in tutta Italia, con tempi di attesa che normalmente superano di molto le soglie di garanzia. Qualche esempio: sono necessari oltre tre mesi di attesa per una visita gastroenterologica urgente, prescritta col codice di priorità «U» (da fare entro 72 ore). Nove mesi per una prima visita cardiologica con priorità «D» (Differibile – da eseguire entro 30 giorni). Oltre due anni per una mammografia e quasi quattro per una colonscopia, entrambe programmate (classe «P» – da eseguire entro 120 giorni).

Le imprese diventano determinanti per l’accesso alle cure

In questo scenario, il welfare aziendale assume un ruolo strategico, creando un ponte tra i lavoratori e l’accesso alle cure. Il tema dell’assistenza sanitaria e del benessere fisico si conferma un pilastro per la maggior parte delle aziende che hanno scelto di implementare piani di welfare: il 77% dei dipendenti conferma che la propria realtà lavorativa prevede misure di sostegno in questo ambito. Guardando al welfare del futuro, per i dipendenti l’attenzione alla salute – anche mentale è percepita come fondamentale, subito dopo i    benefici economici e la flessibilità lavorativa.

In un contesto di difficoltà di accesso ai servizi offerti dal Servizio Sanitario Nazionale e di elevati costi per la sanità privata, sempre più spesso, le persone fanno riferimento al supporto offerto dalle imprese, tramite i piani sanitari integrativi previsti da Ccnl e i piani di welfare, per accedere alle prestazioni previste. Sebbene ne abbiano diritto, il ricorso a questi servizi risulta complesso senza un’adeguata conoscenza e comprensione delle opportunità disponibili, sia in ambito di prevenzione che di cura.

Per questo, il sostegno aziendale diventa fondamentale per rendere effettivo il diritto alla cura, non solo attraverso l’introduzione di nuovi servizi che rispondano alle esigenze più importanti ma, fin da subito, mettendo a disposizione un servizio che aiuti i lavoratori ad approfondire meglio le offerte e le modalità di accesso a quanto previsto dai rispettivi piani sanitari e di welfare e, non ultimo, a usufruire anche al meglio delle prestazioni del Servizio Sanitario nazionale.

L’attenzione alla salute, che oggi comprende il tema più ampio del benessere psicofisico, diventa così una priorità condivisa da aziende e occupati, aprendo nuove opportunità per l’evoluzione dei sistemi di welfare privati, con evidenti e forti impatti, in quanto si tratta di aspetti valoriali, sull’engagement e sulla fidelizzazione dei dipendenti.