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Ecco le cinque leggi europee che sono pronte a cambiare il futuro della moda

Regolamento Ecodesign e Supply Chain Act si aggiungono ai provvedimenti già in vigore: Deforestazione zero, Csrd e Green Claims. La sfida dell’adeguamento è soprattutto per le pmi

di Marta Casadei

Obiettivo circolarità. La Strategia tessile adottata dalla Commissione Ue nel marzo 2022 punta alla circolarità e alla riduzione

3' di lettura

Progettazione eco compatibile, rendicontazione, monitoraggio della filiera e delle catene di approvvigionamento. E, ancora, la diffusione di informazioni attendibili e misurabili su prodotti che, in passato, venivano definiti solo “green”. Sono solo alcuni dei cambi di paradigma che le aziende della moda dovranno implementare sotto la spinta delle normative europee approvate nella legislatura del parlamento che si concluderà tra poche settimane.

Dopo l’entrata in vigore del regolamento sulle catene di fornitura a deforestazione zero (operativo dal 29 giugno 2023), della Csrd e della Green Claims, questa settimana il parlamento europeo ha licenziato due provvedimenti chiave del Green Deal: il regolamento Ecodesign e la direttiva Csddd. Tutte e cinque le normative avranno un impatto forte sul sistema moda – la seconda industria più inquinante al mondo – e su più fronti: il regolamento sulle catene di approvvigionamento a deforestazione zero (che riguarda, ad oggi, solo i prodotti di derivazione bovina e quindi le pelli) e la Corporate sustainability due diligence directive (Csddd) impongono alle aziende un controllo maggiore sulla propria filiera. La Csddd, in particolare, impone alle grandi aziende (da 1.000 dipendenti e 450milioni di ricavi in su) di controllare che lungo le loro supply chain non si verifichino pratiche che danneggiano l’ambiente, i lavoratori e le comunità locali.

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La direttiva, approvata in seconda lettura a Strasburgo il 24 aprile, ma a cui manca ancora l’approvazione definitiva del Consiglio europeo, ha avuto un iter complesso che ha comportato una riduzione sensibile del perimetro di applicazione. Ma, confermano gli addetti ai lavori, avrà un impatto sulle piccole e medie imprese italiane che, per esempio, nella moda rappresentano tasselli importanti delle filiere dei grandi gruppi del lusso.

Le direttive Green Claims e Csrd riguardano, ovviamente in modo diverso, la comunicazione del livello di sostenibilità dei prodotti e dell’impatto delle aziende della moda. Green Claims, in vigore dal 26 marzo scorso, riguarda la sfera delle comunicazioni: punta infatti a ridurre le pratiche di greenwashing sostituendo informazioni attendibili o misurabili alle diciture “green” e”sostenibile”, mentre la Corporate sustainability reporting directive, in vigore dal 5 gennaio, consolida gli obblighi di rendicontazione della sostenibilità e dal 1° gennaio 2026 (con riferimento all’esercizio 2025) si applicherà alle imprese non quotate con oltre 250 dipendenti (una percentuale molto bassa del sistema moda in Italia) e ricavi oltre i 40 milioni di euro, mentre dal 2027 (anno fiscale 2026) anche alle Pmi quotate.

L’impatto sulle imprese, comunque, non è trascurabile: «Le imprese che sono interessate dalla Csrd nell’anno fiscale 2025 dovranno presentare una report che divulghi le performance in base a 1.200 parametri e che sia approvata da un revisore. Per poter rispettare questa normativa le aziende devono fare uno sforzo e non solo economico, ma allo stesso tempo la Csrd sta diventando un nuovo perno strategico – spiega Matteo Capellini, expert partner di Bain&Co –. Il punto di partenza per il cambio di strategia, infatti, è la misurazione del reale impatto dei prodotti, basandosi però su dati scientifici».

Tra i provvedimenti più rivoluzionari che interesseranno il settore moda – poiché comporteranno un vero cambio del modello di business – c’è il regolamento Ecodesign (Espr), approvato dal parlamento il 23 aprile. L’Espr entro il 31 dicembre 2030 obbligherà le aziende a progettare i propri prodotti affinché siano circolari e durevoli, a dotarli di un passaporto digitale che ne tracci i passaggi produttivi e fornisca ai consumatori informazioni chiave per mantenere o riparare il prodotto, vieterà la distruzione dell’invenduto.

La pioggia di normative ha portato le aziende a dover studiare e a cominciare a “misurarsi” per capire dove e come agire: «I passi che vengono fatti verso una riduzione dell’impatto ambientale vanno raccontati, anche se sono pochi. Ci è capitato, per esempio, che in fase di assessment le aziende si rendessero conto di aver già implementato alcune pratiche richieste dalle normative», continua il legale. Il primo passo è, in molti casi, la formazione: «Nel settore moda e filati – conferma l’avvocato Francesco Inturri, partner di Andersen Italia – le aziende devono districarsi, con difficoltà, tra numerose e complesse norme. Il fatto che, negli ultimi anni la Ue abbia emanato un numero di provvedimenti senza precedenti ci ha portati ad affiancare i clienti in un percorso di formazione che porta a una sensibilizzazione maggiore e aumenta le possibilità che le regole vengano implementate in maniera corretta».

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