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Eurogruppo: primi segnali di tensione per l'iperattivismo di Sarkozy

di Antonio Pollio Salimbeni*

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18 GENNAIO 2008
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Che la cancelliera tedesca Angela Merkel non amasse l'idea di fare dell'Eurogruppo il perno del rilancio dell'Europa politica e di affiancare un governo economico unificato all'unico potere sulla moneta esercitato dalla Bce, era noto da parecchio tempo. Lo si era capito chiaramente quando lo scorso giugno, nella fase cruciale del negoziato per il nuovo Trattato che ha sostituito la fallita Costituzione europea, Romano Prodi aveva proposto di seguire, in caso di impossibilità di trovare una soluzione condivisa a 27, il ‘modello Eurogruppo' per permettere ai paesi che lo volessero di unificare le politiche di dominio nazionale (prima fra tutte la politica estera). La reazione su fredda.
Ma lo si è capito ancora più chiaramente in questi giorni. Al presidente francese Sarkozy che ha proposto una riunione di capi di stato e di governo dell'eurozona per affrontare i problemi dell'economia del momento, Merkel ha risposto senza batter ciglio che non ce n'è alcun bisogno e, in ogni caso, costituirebbe un pericoloso fattore di divisione.
La ragione principale sta nel rischio che la Germania non vuole correre: compiere qualsiasi atto che possa mettere in discussione l'indipendenza della Bce e corroborare la tesi che a Francoforte si sta sbagliando politica monetaria e di cambio, tanto più nel momento in cui in Germania l'inflazione è al livello più elevato da tredici anni (2,2%) e nell'eurozona è al massimo da sei anni e mezzo (3,1% annuale in dicembre).
Ma non c'è solo questo. In ambienti diplomatici a Bruxelles il no secco a Parigi viene interpretato come un chiaro segnale di insofferenza nei confronti dell'iperattivismo del presidente francese, che sta agendo sullo scenario europeo come se fosse già cominciata la "sua" presidenza di turno (scatterà il primo luglio e durerà fino al 31 dicembre). ‘Le Monde' ha parlato addirittura di "tracotanza" quando Sarkozy ha annunciato che alla fine dell'anno dovranno esserci una politica europea dell'immigrazione, della difesa, dell'energia, dell'ambiente. Come se si partisse da zero e come se fosse possibile cambiare in modo "spettacolare" con una bacchetta magica il corso lento, tortuoso e contraddittorio della costruzione europea. Magari fosse possibile.
Un'altra ragione dello sbarramento tedesco riguarda le relazioni dell'Eurogruppo con il grande assente dell'Unione monetaria, il Regno Unito. Tutte le volte che si riunisce l'Ecofin, i ministri finanziari dell'eurozona devono subire le rampogne britanniche perché l'incontro a 27 risulta spesso la stanca fotocopia della discussione avvenuta la sera precedente in ambito Eurogruppo. Cosicché è capitato non di rado che Gordon Brown, quando era Cancelliere dello Scacchiere, faceva solo una capatina. Colpa di chi non vuole la moneta unica, d'accordo, ma se l'Eurogruppo dovesse compiere un salto di qualità sul piano politico generale ciò rifletterebbe un cambiamento strategico di cui, piaccia o no, non esiste al momento la minima traccia. E' una eventualità accarezzata da qualcuno, ma nessuno lo ha fatto proprio come obiettivo politico. Se così fosse, Londra si troverebbe davvero con le spalle al muro.
Tutto questo non significa che l'Eurogruppo non abbia bisogno di una bella risistemata. Per esempio dovrebbe parlare al G7 o al Fondo monetario internazionale con una ‘voce unica' (ma su questo i capi di stato e di governo come i ministri del Tesoro dei paesi interessati litigano da mesi); i ministri dovrebbero abbandonare quella che il commissario europeo agli affari economici Almunia chiama propensione al ‘lobbismo' nazionale; le politiche economiche e di bilancio dovrebbero essere coordinate davvero in anticipo. In definitiva è stata la rigorosissima Germania un anno fa a mettere gli altri governi di fronte al fatto compiuto quando ha aumentato l'Iva dal 16 al 19% nonostante avrebbe avuto un impatto, quantunque moderato, sull'andamento dell'inflazione nell'intera eurozona.

* Antonio Pollio Salimbeni, esperto di economia internazionale, dal 2002 è corrispondente a Bruxelles per Il Sole 24 Ore Radiocor. Già inviato e corrispondente a Washington per l'Unità, ha vinto i premi giornalistici Saint Vincent 1997 e Lingotto 1999. Ha pubblicato "Il drago, Hong Kong, la Cina e l'Occidente alla vigilia del nuovo millennio" (con L.Tamburrino, Donzelli 1997), "Il grande mercato. Realtà e miti della globalizzazione" (Bruno Mondadori 1999), "Lo sviluppo insostenibile" (con P.Greco, Bruno Mondadori 2003).

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