Tronchetti l'ha «licenziato» all'ultimo minuto, quando la riconferma al vertice Telecom sembrava cosa fatta. E lui, Guido Rossi, se ne va sbattendo la porta, non prima di aver rilasciato un'intervista piena di vis polemica a Repubblica. «Quando ho cercato di fare pulizia nel conflitto d'interessi fra Tronchetti e la Telecom, per il bene dell'azienda, del mercato e del Paese, siamo entrati in rotta di collisione», accusa il professore, teorico della public company. Non sarà Rossi, dunque, a condurre l'assemblea del 16 aprile, ma il vicepresidente Carlo Buora, che ha tutte le deleghe necessarie, comprese quelle sulle funzioni "public affairs" e "general counsel & corporate and legal affairs" ereditate dal presidente dimissionario. Per Rossi l'assemblea sarebbe stata comunque l'ultimo atto da presidente, dato che la lista di maggioranza per il rinnovo del consiglio non riporta il suo nome. Non dovrebbero esserci altri colpi di scena su questo fronte, dal momento che Mediobanca e Generali — azioniste del gruppo telefonico con quasi il 6% e partecipanti al patto con Olimpia — non hanno intenzione di impugnare la lista, sebbene abbiano protestato vivamente con la Pirelli di Marco Tronchetti Provera per essere state informate solo poche ore prima del deposito dell'elenco, quando le assicurazioni della vigilia andavano in altra direzione.
Comunque, è andata così. Il prossimo presidente Telecom, è ormai dato per scontato, sarà Pasquale Pistorio. Non si esclude invece che qualche sorpresa possa ancora esserci nelle liste di minoranza. Gira voce, senza conferme, che il secondo candidato di Hopa, Cesare Vecchio, presidente Fingruppo, possa rinunciare. Ma si saprà in assemblea.
Per ora la scena è presa dalle rumorose dimissioni di Rossi, giunto al termine del suo secondo mandato alla presidenza del gruppo che dieci anni fa aveva portato alla privatizzazione. Prima di andarsene ha scritto una lettera a tutti i consiglieri, poche righe per motivare il perchè della sua decisione, «con effetto immediato», come spiega una nota della società. Vista «l'incertezza che si è venuta a determinare nell'assetto azionario», ha spiegato ai consiglieri, Rossi non ritiene «ci siano le condizioni» per portare a termine il suo mandato.
Toni pacati nella lettera, ben diversi da quelli usati nell'intervista a Repubblica, dove accusa il sistema capitalistico italiano di essere in una situazione da Far-West finanziario. «Invece del fare, c'è l'arraffare. Sembra la Chicago degli anni Venti, sembra il capitalismo selvaggio dei Baroni Ladri del primo Novecento». Quei baroni che danno il titolo al volume di Mattew Josephson del 1934 — Global Barrons — dove si descrivono le condizioni del capitalismo americano pre Sherman Act, prima della legge Antitrust.
Nell'intervista Rossi nega di avere ostacolato le trattative con Telefonica. «Al contrario — sostiene — da un certo momento sono stato l'unico a tenere i rapporti con Cesar Alierta.
Il presidente di Telefonica era scandalizzato per la tracotanza di Tronchetti. Venne a trovarmi a casa, passò un'intera domenica pomeriggio a parlarmi. Aveva capito che Tronchetti voleva incassare tutto il premio di controllo, per un controllo che non ha. Telefonica è una public company, mi disse Alierta, certe cose non può farle». Quanto alle trattative avviate con AT&T e America Movil, l'avvocato milanese ha osservato: «Non sono mai stato un nemico della globalizzazione. Ben vengano gli stranieri. Il nostro sistema Paese sta dando il peggio di sè». E sulla riunione in Mediobanca, mercoledì quando il caso era scoppiato, a fronte della richiesta di fornire un parere su un eventuale contropiano da opporre a quello di Tronchetti, Rossi dice di aver risposto: «Ho già dato. Ora sono fatti loro, tra azionisti, che trovino qualcun altro». Insomma, ce n'è per tutti.
Mentre il ministro della Giustizia Clemente Mastella lancia l'idea che la Cassa depositi e prestiti rilevi il 33% di Olimpia, i sindacati proclamano lo stato d'agitazione. «Per noi Telecom è un'impresa "Paese", strategica per l'oggi e per il domani dell'Italia e non può essere ceduta ad operatori stranieri. Prioritario è garantire l'unitarietà dell'azienda contro ogni possibile spezzatino», scrivono in una nota le segreterie nazionali di Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil. Per Federmanager, invece, «non si tratta di schierarsi a fianco di un partner americano, tedesco o spagnolo, ma, una volta presa consapevolezza che quello delle telecomunicazioni è un asset strategico per il Paese, di fare scelte industriali finalizzate al valore dell'azienda e del suo patrimonio umano».