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Alitalia, la sortita di Berlusconi ripropone il conflitto d'interessi

di Orazio Carabini

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21 MARZO 2008

Ci mancava solo Medialitalia. Già, perché come altro potrebbe chiamarsi un'Alitalia nell'orbita del gruppo Fininvest? Dopo Mediaset (televisione e cinema), Mediolanum ( servizi bancari e assicurativi) e persino Mediobanca, dove la finanziaria della famiglia Berlusconi è entrata timidamente con il 2%, la compagnia area non potrebbe che diventare Medialitalia. Come Telecom diventerebbe Mediacom se andasse in porto l'integrazione tra il gruppo telefonico e quello televisivo.


La sortita di Silvio Berlusconi sull'Alitalia ha qualcosa di surreale. Non tanto per la presa di distanze dalla soluzione Air France che è perfettamente comprensibile in chiave elettorale (anche se lo è meno se si ragiona in termini di "grane" per il prossimo Governo che sarà un Governo Berlusconi a dar retta ai sondaggi di questi giorni). E nemmeno per l'invocazione agli imprenditori a «scendere in campo» per difendere l'italianità della compagnia di bandiera. In fondo non è una novità. Peccato che da 15 mesi gli imprenditori italiani hanno la possibilità di farsi avanti e, a tutt'oggi, non l'hanno fatto. Ma quello che veramente lascia increduli è la riproposizione del conflitto d'interessi, in salsa familiare, come se niente fosse. «I miei figli non potrebbero sottrarsi, parteciperebbero al livello degli altri» alla cordata, ha detto Berlusconi martedì alla festa di compleanno dell'ex-ministro Roberto Maroni, dopo aver svelato che il consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo avrebbe deliberato un sostegno al capocordata AirOne (cosa che puntualmente non si è verificata).


In qualche modo l'ex-presidente del Consiglio è coerente. «Il conflitto d'interessi ha detto il 27 febbraio scorso non esiste, perché da 14 anni non mi occupo più delle mie aziende che ho del tutto affidato ai miei figli ». E il sistema televisivo «è l'ultima delle preoccupazioni che un Governo dovrebbe avere, anche perché il duopolio non esiste più con l'arrivo della tv satellitare».
Tutto risolto, quindi. Il conflitto d'interessi, che per anni è stata la questione centrale della politica italiana, improvvisamente non esiste più. Anzi, Berlusconi (o la sua famiglia) diventa il taumaturgo del capitalismo italiano, il catalizzatore di reazioni vitali quando gli imprenditori sonnecchiano, la barriera insormontabile contro cui si infrangono le mire espansionistiche delle società straniere che vogliono conquistare l'Italia.


Eppure non è passato tanto tempo dalle polemiche sulla legge Gasparri che disciplina il settore televisivo, sugli incentivi ai decoder per il digitale terrestre (prodotti dal fratello di Berlusconi), sul decreto Maroni in materia previdenziale che, equiparando le polizze assicurative ai fondi pensione, avrebbe potuto favorire Mediolanum. E quando arrivò il Governo Prodi il disegno di legge Gentiloni che controriformava la Gasparri non era fatto per «distruggere Mediaset»?


Il conflitto d'interessi, purtroppo per tutti, esiste. Non c'è legge che possa limitarlo. Quella che porta il nome di Franco Frattini è una finzione e il centro-sinistra in sette anni di Governo non è riuscito a fare di meglio. Anzi, non è stato capace di fare alcunché. Detto questo, qualsiasi intervento non liberticida (quale invece sarebbe la non candidabilità di chi possiede grandi imprese o consistenti patrimoni) non risolverebbe il problema se gli ostacoli sono aggirabili passando per i figli, i fratelli o la moglie. Hanno fatto bene Marina e Pier Silvio Berlusconi, ieri, a premere sul padre perché rettificasse il tiro dicendo: «Non c'è interesse, ma se fosse necessario i miei figli non si tirerebbero indietro». Loro devono pensare a Mondadori e Madiaset, due società quotate che hanno anche azionisti di minoranza a cui rendere conto.


Il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, amico e fan di Berlusconi, ha detto pochi giorni fa che Mediacom (Mediaset- Telecom) è «un'ipotesi di scuola perché la politica non ce la farebbe fare». Chissà che cosa succederebbe con MedialitaliaAirOne: il prestito ponte del Governo, i sussidi ai dipendenti licenziati, la decisione Antitrust sulla Roma-Milano, le compensazioni alla Sea. Un inizio da incubo per la nuova legislatura.

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