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Le turbolenze finanziarie a Est preoccupano i Paesi della Ue

dall'inviato Vittorio Da Rold

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Mercoledí 28 Gennaio 2009

DAVOS - Lo spettro del default dell'Europa centro-orientale bussa alla porta del summit di Davos, guidato alla 39° edizione dallo svizzero-tedesco Klaus Schwab. Un timore che si somma all'esposizione delle maggiori banche occidentali, il cosiddetto G-9 del credito, dal numero complessivo dei partecipanti che chiedono a Bruxelles e alla Bce di aiutare non solo i nuovi entranti, ma anche i candidati alla Ue come Serbia e Ucraina. Si teme che, nel caso si verificassero dei fallimenti nell'Europa centro-orientale, a pagare sarebbero proprio gli istituti di credito occidentali, già provati dai mutui subprime.

Evitare di aprire un secondo fronte della turbolenza a Est, quello dei Paesi con forti deficit delle partite correnti, l'arco della crisi che va dai Baltici, attraversa l'Ungheria, si inserisce nei Balcani e giunge fino alla Turchia, è uno dei compiti strategici che banchieri, politici e rappresentanti delle organizzazioni internazionali, affronteranno nei lavori di Davos.

A spingere per un piano di aiuti che coinvolga anche l'Ucraina e la Serbia sono nove colossi del credito occidentale coinvolti a Est: Raiffeisen ed Erste Bank per l'Austria, Unicredit e IntesaSanPaolo per l'Italia, Société Générale per la Francia, Kbc per il Belgio, Bayer Landesbank per la Germania, Swedbank per la Svezia, Efg Eurobank per la Grecia. I costi dell'operazione non sarebbero enormi, rispetto agli aiuti che si stanno formalizzando in Europa per le banche, visto che il Pil dell'ex Europa comunista vale 740 miliardi di euro e quello dell'Europa del Sud-Est solo 270 miliardi, meno dei 290 miliardi dell'Austria.

I crediti concessi però dalle banche austriache sui Paesi dell'Est, sono pari al 68% del Pil e quindi potrebbero esserci problemi seri di tenuta di bilancio pubblico nel cuore dell'Europa nel caso in cui la situazione in quei Paesi dovesse ulteriomente peggiorare.

Così il Ghota mondiale del capitalismo riunito nel villaggio svizzero per «ridare forma al mondo dopo la crisi peggiore dai tempi della Grande Depressione del '29» discuterà di come evitare che il contagio si propaghi ai Paesi in transione dell'Est. Le Borse di Mosca, Polonia, Reubblica ceca e Ungheria sono scese del 15% da inizio anno e le monete hanno perso il 12 per cento. I pagamenti di debiti in valuta stanno mettendo a rischio la tenuta dei Paesi della regione al punto che l'Fmi è dovuto intervenire a favore di Budapest e Kiev.

Domani a Davos, alla sessione dedicata alla Governance economica europea con il presidente della Bce Jean-Claude Trichet, il ministro italiano dell'Economia, Giulio Tremonti, il premier polacco, Donald Tusk, il primo ministro svedese Fredrick Reinfeldt e il premier lettone Valdis Zatlers si discuterà proprio di come molte di queste economie possano ripagare il loro debiti in un momento di difficoltà di accesso al credito.

Il servizio ricerche della Deutsche Bank ha calcolato che la somma di deficit delle partite correnti dei Paesi dell'Europa centro-orientale è pari al 18% del Pil contro appena l'8% dell'Asia e dell'America Latina. Un dato allarmante soprattutto dopo le difficoltà slovene sulla possibile «crisi di liquidità».

C'è di più. La Russia, secondo l'Ing Financial Markets, deve rinnovare debiti per 500 miliardi di dollari, l'Ucraina per 30 miliardi e l'Ungheria per 15 miliardi di dollari. A questo punto i pericoli di default di rischio sovrano aumentano mentre i cds, i credit default swaps, l'indice che misura la solvibilità dei soggetti pubblici e privati, stanno facendo salire la febbre con l'Ucraina in fuga solitaria dal plotone di controllati speciali dai mercati. È vero che solo i piccoli Stati come le Seychelles e l'Ecuador hanno fatto default da quanto la crisi è iniziata nell'agosto 2007, ma nessuno può escludere altre sorprese.

«Aprire i cordoni della borsa europea non è un problema - dice Bilal Hafeez, analista di Deutsche Bank - visto la forza dell'euro e visto che il defici fiscale americano quest'anno toccherrà il 10% del Pil». Wolfgang Munchau, del Financial Times, si è spinto a proporre un bond europeo per salvare un ipotetico Stato di eurozona dal default. Un'idea che potrebbe valere anche per aiutare l'Europa dell'Est e che piace a Daniel Gross del Ceps di Bruxelles secondo cui emettere bond Ue sarebbe utile in queste circostanze.

Solo la Bce, la Ue e l'Fmi hanno i mezzi per salvare i Paesi centro-europei dalle turbolenze finanziarie come avvenuto per l'Ungheria. Ma può la Bce aiutare Paesi esterni all'eurozona? A ottobre con i primi cinque miliardi di prestiti a Budapest la Bce, in coordinamento con l'Fmi, ha rotto un tabù, perché il rischio-default dei "Paesi dietro l'angolo" sarebbe catastrofici per l'Unione. Per questo alcune delle maggiori banche della Ue stanno chiedendo a Bruxelles e alla Bce di aiutare questi Paesi.

I Governi dell'Est Europa hanno gestito bene i conti pubblici ma le società private si sono indebitate in euro per finanziare la crescita. Oggi però le valute locali si sono indebolite sulla moneta unica così ora devono pagare debiti in valuta rivalutata e introiti in moneta locale svalutata. I Paesi in transizone dell'Est senza aiuti potrebbe finire come l'Islanda..

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