Il ribasso dei tassi spinge le amministrazioni a chiudere gli swap: già 110 uscite anticipate
Al comune di Pollutri, 2.300 abitanti in provincia di Chieti, a gennaio hanno fatto due calcoli: l'interest rate swap sottoscritto nel 2005 con Intesa San Paolo ha portato negli anni un incasso complessivo intorno ai 100mila euro, ma diventa rischioso se i tassi di interesse si alzano. Meglio trovare i 35mila euro chiesti dalla banca per chiuderlo in anticipo e dire addio alla scommessa.
Quella di Pollutri è solo l'ultima di una serie di scelte dello stesso tipo compiute dai sindaci. Le polemiche sui derivati avevano spento da tempo l'entusiasmo iniziale, ma sono i tassi limati dalla gelata dell'economia ad aver creato le condizioni per uscire prima del previsto dalla finanza derivata, senza farsi troppo male o addirittura guadagnandoci qualcosa. Da metà del 2008 a oggi, sono più di 110 gli enti territoriali che hanno chiuso i propri swap in anticipo rispetto alle scadenze scritte nei contratti.
La coda all'uscita si è allungata nel tempo e almeno una ventina di chiusure anticipate sono avvenute negli ultimi due mesi del 2009, e stanno spingendo verso quota 2 miliardi il valore complessivo dei contratti finiti nel cestino prima del tempo stabilito. I movimenti più intensi si sono registrati tra i quasi 600 comuni medi e piccoli che negli anni si erano fatti affascinare dalle scommesse finanziarie, ma da Novara a Varese fino a La Spezia non mancano i capoluoghi che hanno imboccato la stessa strada.
Il fenomeno complessivo emerge dal monitoraggio continuo effettuato dal Tesoro sugli swap di sindaci e presidenti; a fine 2009 il nozionale complessivo, cioè il debito che le amministrazioni locali hanno deciso di trattare con i derivati, è ancora a quota 35,5 miliardi di euro, una cifra che vale esattamente un terzo dei 107 miliardi di debito pubblico che grava sui bilanci di regioni ed enti locali, ma la stasi delle cifre complessive è solo apparente. La raccolta sistematica dei dati sulla finanza derivata delle amministrazioni locali è avviata da tre anni abbondati (l'ha prevista il comma 737 della finanziaria 2007), ma il meccanismo è in continuo affinamento e accoglie un numero crescente di contratti che sono attivi da tempo, ma che ancora non erano entrati nelle banche dati del ministero.
Negli ultimi sei mesi dell'anno scorso, per esempio, il Tesoro ha rilevato ex novo gli swap di 34 comuni, ma i contratti sono più datati perché la finanza derivata dei sindaci è congelata da metà 2008 (il divieto di firmare nuovi swap è stato introdotto dall'articolo 62 del Dl 112/2008). Il numero di enti monitorati, insomma, aumenta, ma il valore complessivo dei contratti rimane stabile perché nel frattempo "perde" i derivati che chiudono. Chiusure che raramente coincidono con i tempi previsti in origine, perché i derivati hanno cominciato a bussare alle porte di comuni, province e regioni dal 2002, hanno vissuto il loro boom tra 2005 e 2007 e in genere coprono il debito degli enti per decenni.
Le scosse, poi, non risparmiano i capoluoghi di regione. Al di là del caso milanese, che ha fatto da detonatore a un'inchiesta della procura estesa poi a tre Regioni (Liguria, Calabria e Sicilia), novità interessanti si attendono da Genova; la Spim, la società comunale che gestisce il patrimonio immobiliare, ha già mandato alla Corte dei conti le carte del proprio derivato, targato Bnp Paribas, e sta concludendo la perizia affidata a consulenti indipendenti per capire se è il caso di interessare anche la procura.
L'incognita più grande, comunque, è legata alle inchieste a cascata che le Procure della Repubblica e della Corte dei conti hanno attivato sui rapporti pericolosi fra banche e comuni sul terreno della finanza derivata, e che oggi hanno messo sotto la lente contratti per almeno 9,5 miliardi (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri), sparsi fra sette regioni, due province e 38 comuni (di cui otto capoluoghi): in pratica, il 27% del debito pubblico locale swappato è sotto inchiesta.
La rilevazione del Tesoro aggiorna anche il dato sul passivo locale tout court, che a fine 2009 conferma i 107 miliardi complessivi registrati a metà anno, con un aumento del 16% rispetto ai 92,3 miliardi indicati nel consuntivo del 2007.
A livello territoriale, la somma del rosso di regioni ed enti locali attribuisce ancora una volta un largo primato alla Valle d'Aosta, dove lo statuto speciale e le dimensioni ridotte portano il debito pro capite a sfiorare i 6.300 euro. Nell'Italia a statuto ordinario, invece, il podio del debito locale vede primeggiare il Piemonte (2.561 euro ad abitante), seguito da Lazio (2.533 euro) e Abruzzo (2.080). Le cifre assolute, però, non bastano da sole per dare le pagelle ai bilanci regionali, perché tutto dipende dalla sostenibilità del rosso in rapporto alla situazione complessiva dei conti. Negli enti pubblici l'indebitamento è sinonimo di investimenti, e per tracciare il confine fra un'amministrazione attiva e una mal gestita il dato sul passivo da solo non basta.
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