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Italia inefficiente: diecimila commissari per l'ordinaria emergenza

di Marco Moussanet

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24 Febbraio 2005

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In realtà l'urgenza di una svolta rigorista nasceva dal rischio che a Bruxelles la Commissione aprisse una procedura d'infrazione, motivata in particolare dalle deroghe alle regole europee in materia di appalti.
Lo stesso ruolo della Protezione civile sembra spesso stravolto rispetto a quelle che dovrebbero essere le sue funzioni. È il caso dei "grandi eventi". Bertolaso è infatti commissario straordinario per il XXIV Congresso eucaristico nazionale, che si svolgerà a Bari in maggio, e per la pre-regata della prossima Coppa America, a Trapani in ottobre. Un commissario per una regata? «Quando abbiamo fatto il sopralluogo - dice Spaziante - in mezzo al porto c'era una puzza terribile e l'acqua ribolliva. Era la fogna che scaricava». Roba da Protezione civile. Senza dubbio.
E che dire del Commissario straordinario per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, Carlo Jean, che da un anno e mezzo cerca di fare quanto previsto dal suo decreto di nomina: realizzare il deposito nazionale. Doveva sorgere a Scanzano Jonico. Ma i cittadini, indignati, hanno protestato, il Governo ha fatto marcia indietro e le scorie sono state spedite all'estero. Per fortuna c'era il commissario straordinario. Altrimenti chissà cosa sarebbe successo.
Emergenze perenni. Una volta tratteggiato il quadro, si tratta di provare a capire, almeno in termini di lettura generale del fenomeno, come mai l'Italia è diventata un Paese di commissari. Alcuni fisiologici, è vero. Molti patologici. Come mai sia pian piano scivolata dall'ordinario allo straordinario istituzionalizzato. Come mai viva di continue emergenze. Che per loro natura dovrebbero essere temporanee e invece diventano perenni. Quando, almeno sulla carta, non manca nulla. Non mancano le norme, non mancano le amministrazioni. Che, anzi, paiono addirittura troppe e richiederebbero di essere semplificate e razionalizzate.
Bisogna risalire a metà degli anni 70. Quando lo Stato ha cominciato ad assorbire personale espulso dalle prime ristrutturazioni e riconversioni industriali, a cedere alle pressioni sociali e sindacali, a distribuire posti anziché offrire lavoro. Assumendo un mare di gente che, in larga parte, non serviva. I criteri del reclutamento sono stati stravolti, penalizzando in particolare le figure tecniche. Alle quali erano per esempio affidati gli interventi di programmazione, progettazione, prevenzione, monitoraggio in campo ambientale. Indispensabili per evitare, venti o trent'anni più tardi, i disastri ai quali ci stiamo abituando.
Più quantità, meno qualità. Lo slogan era pressappoco questo. Insieme a un altro, disgraziato: vi pago poco e vi chiedo poco. Insieme agli automatismi, all'anzianità che diventa merito, ai concorsi interni all'acqua di rose. Così l'amministrazione pubblica si è via via indebolita. È arretrata, ha abbandonato competenze e funzioni che le erano proprie, andando magari a svolgerne altre in cui la sua presenza era inutile se non dannosa. Il suo impoverimento qualitativo ha inoltre alimentato l'autoreferenzialità, la difesa di interessi corporativi.
Su questa fragilità di fondo, questa inadeguatezza ormai strutturale, si sono innestati il blocco delle assunzioni (che non è stato utilizzato in modo virtuoso, per modificare i processi produttivi, e nel contempo ha reso impossibile rimpiazzare figure utilissime soprattutto in campo tecnico-giuridico, incrementando a dismisura il mercato delle consulenze esterne) e il decentramento. Che crea ulteriori problemi e in più fornisce un comodo alibi dietro al quale nascondere inefficienze e artificiosi conflitti di competenze.
Questo micidiale cocktail, condito con una dose di illecito diffuso e di mala amministrazione, è generatore di emergenze. Il commissariamento, che dovrebbe avere il carattere dell'eccezionalità in nome di un interesse pubblico superiore, diventa un modo per aggirare procedure che non si è in grado di rivedere, di riformare. Non essendo capaci di far funzionare l'ordinario, ci si rifugia nello straordinario. Che d'altronde ha un suo fascino perverso e non dispiace affatto agli italiani, amanti dell'evento, dell'esagerazione, del fuori misura. E di tutto ciò che consente di scansare le regole. «Quando invece - osserva Sabino Cassese - un Paese che funziona deve fare esattamente il contrario: calare lo straordinario nell'ordinario». Eccola, la madre di tutte le emergenze.

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