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I 90 anni di Scalfaro, il presidente della Costituzione sempre in conflitto col centrodestra

di Massimo Donaddio

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8 settembre 2008

Negli ultimi anni lo abbiamo visto girare l’Italia soprattutto per parlare della Costituzione repubblicana o per discutere di temi religiosi, invitato principalmente da giovani, da associazioni, da esponenti della società civile. L’eloquio sempre sciolto, efficace, brillante, in grado di passare dal registro dell’ironia a quello, più grave, proprio di un Costituente, di un Padre repubblicano che spiega ai giovani concittadini principi e valori di quella che per lui è sempre stata la Carta fondamentale, la rivendicata guida di tutta una carriera a servizio dello Stato, non immune da passaggi delicati e anche da critiche spietate. Oscar Luigi Scalfaro ha impersonato la continuità nella storia repubblicana, non solo per la sua lunga vita ed esperienza politica, ma perché si è trovato a gestire, da Capo dello Stato, la difficilissima transizione seguita a Tangentopoli e al tracollo delle principali forze politiche della cosiddetta Prima Repubblica (in particolare Democrazia Cristiana e Partito Socialista), oltre che la reazione delle istituzioni di fronte alla pesante minaccia alla legalità sferrata dalle organizzazioni mafiose dopo l’uccisione dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Concluso il mandato quirinalizio, e divenuto senatore a vita, sono emerse in maniera ancora più marcata le due linee guida che hanno caratterizzato la vita di Scalfaro, nel pubblico e nel privato: la passione civile ancorata alla Carta Costituzionale e la profonda fede religiosa, maturata nei circoli di Azione Cattolica di Novara, la sua città natale. Anche per questo, negli ultimi anni amava ripetere che «dal Quirinale si va in pensione, da cittadino e da cristiano no». Uomo politico stimato sia all’interno del suo partito – la Democrazia Cristiana – sia presso gli avversari politici, pur avendo ricoperto numerose cariche istituzionali (sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ministro dei Trasporti, della Pubblica Istruzione, dell’Interno e presidente della Camera) non figura tra i “cavalli di razza” della Dc e per buona parte degli anni Settanta viene tenuto fuori da incarichi governativi – sono gli anni del “compromesso storico” – così come era già successo nei primi anni Sessanta, quando Aldo Moro si faceva promotore dei primi governi di centro-sinistra.

Un degasperiano icona del centrosinistra
I rivolgimenti seguiti alla stagione dell’inchiesta Mani Pulite, il collasso della Balena Bianca e l’avvento di una nuova coalizione di centro-destra capitanata da Silvio Berlusconi hanno contribuito ad evidenziare in Scalfaro orientamenti e opzioni politiche inaspettate ai più: un uomo considerato per tutta la vita esponente dell’ala destra della Dc (a partire dalla sua Novara) diventava una delle icone dell’attuale centrosinistra, per la sua accanita difesa della Costituzione, per la sua insistenza sulla legalità e il suo sostegno all’operato della magistratura e per avere detto di no al dimissionario presidente del Consiglio Berlusconi che chiedeva, nel 1994, il reincarico in un Governo di minoranza o lo scioglimento anticipato del Parlamento. A chi gli domandava il perché di questo, almeno apparente, cambiamento politico, Scalfaro rispondeva sempre di non avere mutato in nulla i propri convincimenti, ma di essere sempre rimasto fedele ad una linea “centrista” di ispirazione degasperiana. I suoi accorati appelli in favore della pace (soprattutto prima e durante il secondo conflitto iracheno) e le continue citazioni dell’articolo 11 della Costituzione – “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” - ne hanno fatto, però, anche un’icona del popolo dei movimenti, tanto che lo stesso Scalfaro aveva dichiarato in un’intervista di tenere anch’egli in casa una bandiera arcobaleno. Questa immagine ci riporta, inevitabilmente, agli ultimi, pur intensi anni di un vegliardo novantenne la cui vita è stata interamente spesa in politica. Anni recenti, vicini a noi.
Durante la primavera del 2006 è presidente del comitato per il No al Referendum sulla Riforma Costituzionale (patrocinato dai partiti del centrosinistra, dalle principali organizzazioni sindacali e da alcune associazioni), promuovendo la bocciatura per via referendaria - poi avventua col 61,3% dei voti - la legge di riforma voluta dal centrodestra, che lo subisserà nuovamente di critiche.
In apertura della XV legislatura presiede l'aula del Senato - per la rinuncia della senatrice decana Rita Levi Montalcini - venendo brutalmente contestato dagli esponenti del centrodestra. Il 19 maggio 2006, come già aveva anticipato, vota la fiducia al governo Prodi II, che sosterrà più volte anche in occasioni determinanti. Nel 2007 aderisce al Partito Democratico. Nel corso della sua ultima apparizione pubblica - alla festa del Pd - l'ex presidente ha invocato meno divisioni nel partito, riforme con l'opposizione, rivendicando la centralità del parlamento rispetto ai poteri del capo del Governo. Posizioni che lo hanno allontanato sempre più dall'attuale maggioranza e dal suo leader, che considera Scalfaro - accanto a Di Pietro - forse il suo più acerrimo nemico politico.

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