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I 90 anni di Scalfaro, il presidente della Costituzione sempre in conflitto col centrodestra

di Massimo Donaddio

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8 settembre 2008

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Gli inizi della carriera politica
Ma la carriera politica di Scalfaro inizia in un tempo, per molti, ormai lontano, benché decisivo per la storia italiana: quello della nascita della Repubblica dalle ceneri del regime fascista. Non ancora trentenne, infatti, nel 1946 viene eletto a far parte dell’Assemblea Costituente tra le fila della Democrazia Cristiana. Sarà l’inizio di una lunghissima esperienza politica che lo porterà ad essere sempre rieletto alla Camera dei Deputati fino al 1992, anno in cui inizia il suo settennato presidenziale. La formazione di Scalfaro, però, è eminentemente giuridica e ancorata ai principi del cattolicesimo. Nato da una famiglia di origini calabresi il 9 settembre 1918, fin da piccolo inserito nei ranghi dell’Azione Cattolica (anche durante gli anni dell’aspra battaglia tra la Chiesa e il regime fascista per l’educazione della gioventù italiana), assiduo frequentatore e presidente del circolo studenti “Giuseppe Regaldi”, molto attivo a Novara nell'ambito formativo, culturale ed ecclesiale, dopo il diploma al liceo classico “Carlo Alberto” e la laurea in giurisprudenza presso l’Università Cattolica di Milano (1941) entra subito in magistratura. È noto un episodio che riguarda il giovanissimo magistrato, costretto, alla fine della guerra, a prestare servizio come pubblico ministero ad un processo che riguardava un assassinio compiuto dalla polizia della Repubblica di Salò: un crimine che, secondo il codice penale di guerra allora in vigore, prevedeva la pena di morte. Scalfaro, turbato per un’azione manifestamente contraria ai suoi principi, al dibattimento espone i fatti e indica i colpevoli, fa presente che la pena stabilita per i reati commessi è la morte, aggiungendo però che si oppone personalmente a questa soluzione, appellandosi alla Corte perché quella pena non venga applicata. La sua domanda di grazia non servirà, però, a salvare la vita di tutti gli imputati.

Parlamentare Dc vicino a Scelba
Entrato in politica ed eletto a Montecitorio, è da subito vicino alle posizioni della destra Dcrappresentate dalla corrente di “Centrismo Popolare”, facente capo al potente ministro degli Interni Mario Scelba. Nel 1954 prende il via anche la carriera ministeriale, con la nomina a sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con Scelba capo del governo. Ottiene incarichi nel primo governo Segni (1955), nel governo Zoli (1957), nel secondo Segni (1959), nell’esecutivo Tambroni e nel terzo governo Fanfani (1960). Avversario, come Scelba, del nascente centro-sinistra, Scalfaro rimane escluso da cariche ministeriale per sei anni, anche se è proprio Aldo Moro a promuoverlo ministro dei Trasporti nel suo terzo governo, carica che il politico novarese mantiene anche nel successivo esecutivo Leone (1968). Nel 1972 sale al governo Giulio Andreotti, e Scalfaro passa dal ministero dei Trasporti a quello della Pubblica Istruzione. Dopo la crisi di questo esecutivo diviene vicepresidente della Camera, ruolo che divide con Sandro Pertini, Pietro Ingrao e Nilde Iotti. Coerente oppositore del “compromesso storico”, non vota Pertini alla presidenza della Repubblica (1978), ma sarà proprio l’anziano presidente a favorire l’ascesa di Scalfaro ad un ministero di grande prestigio, come quello degli Interni. Nel 1983, infatti, la Democrazia Cristiana perde numerosi consensi e aumenta, in proporzione, il peso politico del Partito Socialista guidato da Bettino Craxi: si costituisce il pentapartito (Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli) e il leader socialista diventa presidente del Consiglio. Molti ministeri sono ricoperti da politici di peso: Forlani vicepresidente, Andreotti agli Esteri e Spadolini alla Difesa. Giovanni Goria e Giuliano Amato sono ministro del Tesoro e sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Il presidente del Consiglio uscente, Amintore Fanfani rivendica per sé il dicastero degli Interni, ma Pertini suggerisce a Craxi di puntare su Scalfaro, che si insedia quindi al Viminale, dal quale uscirà solo nel 1987. Tornato sui banchi di Montecitorio si oppone alle “picconate” del nuovo inquilino del Quirinale, il collega di partito Francesco Cossiga, e si fa promotore di una legge per contrastare le crisi di governo extraparlamentari, che applicherà scrupolosamente durante il suo settennato.

Il settennato al Quirinale
Il 24 aprile 1992 succede a Nilde Iotti alla presidenza della Camera, dove rimane solo un mese. Il 24 maggio 1992 è infatti eletto, con 672 voti, presidente della Repubblica. Un settennato delicato, quello di Scalfaro, stretto tra la crisi morale e di fiducia nella classe politica e di governo, travolta dagli scandali di Tangentopoli, e le spinte secessioniste patrocinate dal movimento leghista di Umberto Bossi. L’assassinio mafioso del giudice Giovanni Falcone, di sua moglie e di tre agenti della scorta imponeva una rapida scelta da parte dei partiti, che avevano già bocciato una folta schiera di autorevoli candidati. Dietro proposta del leader radicale Marco Pannella – che definisce Scalfaro “il Pertini cattolico” – il pentapartito (più i Verdi, la Rete e i radicali) decide di riversare i suoi voti sull’esponente democristiano novarese, da sempre strenuo difensore della Costituzione repubblicana. L’essersi rifiutato di sciogliere le Camere dopo le crisi degli esecutivi presieduti da Silvio Berlusconi (1994) e Romano Prodi (1998) e l’aver permesso la nascita dei governi guidati da Lamberto Dini e Massimo D’Alema sono decisioni che si collocano in un’ottica di attenzione al dettato costituzionale, malgrado alcune contestazioni ricevute da parte soprattutto del centrodestra berlusconiano, che lo bersaglierà sempre con infuocate critiche. L’intervento diretto e il pieno sostegno di Scalfaro ai governi “tecnici” di Giuliano Amato (1992-93), Carlo Azeglio Ciampi (1993-94) e Lamberto Dini (1995-96) hanno consentito a questi stessi esecutivi e a chi li guidava di operare in un delicato momento nella recente storia del Paese, oppresso dalle difficoltà finanziarie e privo di maggioranze politiche coerenti.

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