Patto di consultazione tra i due co-fondatori del Pdl; vertici di maggioranza che coinvolgano tutto il Pdl «evitando la sensazione che dalle cene del lunedì venga fuori la linea dell'esecutivo»; strutturare il Pdl come un vero e proprio partito; discutere e votare nelle sedi appropriate previste dallo statuto anche su «questioni delicate che riguardano la coscienza dei singoli». L'annunciata lettera dei "finiani" al premier è stata firmata a fine giornata da tutti i settanta (uno più uno meno) parlamentari del Pdl che provengono da An. E proprio nel momento in cui la Camera si accinge a esaminare uno dei dossier caldi per il Pdl, ossia il testamento biologico.
Tuttavia – mentre Gianfranco Fini rendeva nota la decisione di querelare Vittorio Feltri per il suo editoriale sul Giornale che minacciava la rivelazione di vecchie storie a "luci rosse" («parlerò in sede politica e giudiziaria», ha precisato il presidente della Camera) – durante la giornata erano state molte le "defezioni" temute o annunciate: i deputati vicini a Ignazio La Russa, Gianni Alemanno e Altero Matteoli inizialmente non avevano aderito all'appello. E La Russa aveva dettato alle agenzie una nota in cui si diceva che la lettera «può creare ulteriori problemi». L'intervento dello stesso Fini e la mediazione di "big" provenienti da Forza Italia come Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, e Sandro Bondi, uno dei tre coordinatori con La Russa e Verdini, hanno fatto sì che alla fine la lettera al premier fosse firmata da tutti i deputati ex An. Evitando a Fini la situazione imbarazzante di ritrovarsi solo con le sue truppe di fedelissimi a portare avanti l'esigenza di una maggiore democrazia interna: esigenza che in realtà sembra essere condivisa anche da molti ex azzurri. «Riga più riga meno la lettera poteva essere firmata anche dall'intero gruppo del Pdl – ha detto Cicchitto –. Siamo tutti d'accordo che sono indispensabili un rapporto positivo e continuativo fra Berlusconi e Fini, una sede politica di confronto nel partito e di coordinamento della maggioranza con la Lega». Una vittoria di Fini, certo, ma anche il segno che le "colombe" sono al lavoro per ricucire il grave strappo politico tra Fini e Berlusconi.
Mentre appaiono sempre più inconsistenti le ipotesi di elezioni anticipate o di maggioranze alternative anti-Lega (o addirittura anti-Berlusconi) di cui si è parlato in questi giorni nei corridoi della politica e sui giornali, la strada per recuperare unità al Pdl ed efficienza all'esecutivo sembra infatti essere una sola. Ossia il compromesso. In questa direzione vanno anche le parole di Giulio Tremonti: il Pdl discuta sulle idee di Fini – è il suo appello in un'intervista al Corriere della sera – «su immigrazione, interesse nazionale, catalogo dei valori e dei principi, dentro il Pdl si può e si deve aprire una discussione, dove vince chi convince». È l'ora della tregua, dice insomma la "colomba" Tremonti. E Berlusconi non può non tenerne conto.