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Claudio Petruccioli: «Il Pd non è affatto finito»

di Claudio Petruccioli

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6 febbraio 2010
Claudio Petruccioli e Emanuele Macaluso (LaPresse)

Scambio epistolare fra me e Emanuele sul sito "leragioni.it"
Caro Emanuele, mi è venuta la voglia – e ne sento anche, un po', la necessità – di comunicarti quel che penso davvero su un argomento di cui parlano tutti; anche noi due, quando ci vediamo. Il Pd è finito? Stando a quel che pensano e dicono in tanti - e non pochi anche fra i dirigenti di quel partito - resterebbe da stabilire solo il quando e il come; non se la fine ci sarà.

Ecco: io non la penso così. Sono anzi convinto del contrario: che il Pd non sia affatto finito; e che, se è stato difficilissimo costituirlo, sarà ancora più difficile disfarlo, cancellarlo dalla scena politica. A me piace dichiarare le mie previsioni, meglio se a ridosso degli eventi sui quali mi esercito; cosicché chi mi ascolta non abbia tempo per dimenticarle e possa, quindi, verificare se i fatti le accreditano o le smentiscono. Un po' come a bridge, dove all'inizio di ogni smazzata devi "licitare" il numero di prese che farai; e – ovviamente – se ne fai meno, perdi.

No, non prevedo, la fine del Pd, la sua scomposizione. Non lo dico certo perché il Pd fa bene la sua parte; per opporsi oggi, e per governare domani. Che sia vero il contrario è evidente anche a me; e potrei aggiungere a un lunghissimo elenco, le mie disillusioni, i miei fastidi, le mie – perfino – incredulità per quanto succede (e non succede) nel Pd e intorno al Pd. Ma tutto questo non c'entra. Il Pd, come il "bipolarismo" non funziona, o funziona male. Eppure, come per il bipolarismo, anche per il Pd, sono convinto che indietro non si torni. Chi pensa di poterlo fare, si accomodi; se ne accorgerà.

Il Pd c'è: sta lì, come un grande territorio, finalmente individuato, "picchettato" e nominato. Tutti sanno e vedono che quel territorio è collocato nel posto giusto; è lì che si devono e si possono fare le cose di cui si sente da tempo la necessità. Il fatto è – purtroppo - che vi si aggira gente per lo più "spaesata", segnata da vecchie abitudini, timorosa dello spazio disponibile, sprovvista di spirito pionieristico. Così, il territorio resta incolto, privo non dico di un "piano regolatore", ma perfino delle primitive opere di assestamento e di sopravvivenza; resta inerte, inadatto alla residenza come al lavoro.

Qualcuno (non ricordo chi), non molto tempo fa ha osservato che da anni, nella sinistra italiana, di fronte a insuccessi e incapacità non si cambiano i dirigenti ma i partiti; e i dirigenti restano – più o meno – sempre gli stessi. Mi sembra che questa tentazione "trasformistica" (non saprei com'altro definirla) si stia ripresentando. Insomma, la colpa della "sterilità" sarebbe del territorio, di come è piazzato, di come è esposto, di quanto è grande. Sono sicuro, però, che questa volta il travisamento non prenderà piede, non ingannerà nessuno. Per la semplice ragione che, fino a non molto tempo fa, i partiti disponibili erano effettivamente inadatti e insufficienti allo scopo; non solo per le "politiche" che riuscivano a produrre, ma per la loro stessa natura e collocazione. Era dunque giustificato affermare l'esigenza di un partito nuovo, di un partito che non c'era. Ma da quando c'è il Pd è evidente a tutti che questo problema non si può riproporre. Tutti vedono che non è problema di dimensioni o di esposizione del terreno: di terra ce n'è abbastanza e il posto è quello giusto. Soprattutto fra i dirigenti c'è – è vero – chi continua a ripetere che non si riesce a far nulla se non ci si allarga di qua o di là, se non si stringono accordi con questo o quell'altro confinante (e concorrente). Ma chiunque capisce che anche accordi con altri - per pascoli più ampi, per più agevoli accessi all'acqua, per più sicure transumanze del bestiame - seguono e non precedono la dimostrata capacità di far prosperare e di saper ben amministrare il tuo fondo. Nessuno si associa con un incapace, anche se grosso.
Non manca il terreno: manca chi sa attivare e condurre su di esso un'azienda; non manca lo strumento, ma chi è capace di usarlo.

C'è chi se ne va o annuncia che se ne andrà. È vero. Ma se anche tutti i dirigenti, di qualsivoglia origine, orientamento e appartenenza se ne andassero, ovunque vogliano andarsene, in dimore già esistenti o cercando di costruirne nuove, il Pd non finirebbe. Il territorio, con i suoi confini, resterebbe quello che è; e milioni di persone continuerebbero a pensare che lì bisogna stare se si vuole contendere alla destra il governo dell'Italia; milioni di persone convinte che solo con e su quel territorio possono essere cittadini nel modo in cui vogliono esserlo. Può restare inerte, inutilizzato ancora. Ma non finisce, non si disperde. E, finalmente, arriverà qualcuno capace di dire cosa ci si può fare; che dimostra di aver voglia di farlo, e capacità per farlo.

Vedremo quello che succederà. Io mi comprometto con questa "licitazione"; tu mi vai bene come giudice. Per questo scrivo a te. Della lettera puoi fare quello che vuoi: metterla nel cassetto, buttarla via, farla leggere ad altri. Perfino pubblicarla.
Ciao Claudio

La risposta di Emanuele Macaluso
Lettera conclusiva di Claudio Petruccioli

LINK UTILI
Lo scambio di lettere sul sito www.leragioni.it
6 febbraio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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