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Non è la privatizzazione
il problema dell'acqua in Italia

di Giorgio Santilli

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22 marzo 2010
Non è la privatizzazione il problema dell'acqua in Italia

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Questo non toglie che le polemiche attuali contro la privatizzazione dell'acqua presentino un sapore ideologico. Il gestore può essere indifferentemente una spa controllata dal pubblico o dal privato senza gravi danni, a condizione che restino in mano pubblica tutte le altre funzioni strategiche già dette.

Le polemiche, inoltre, non affrontano il cuore del problema idrico italiano che non è certamente la presenza dei privati nella gestione. Semmai può essere il contrario, l'eccesso di presenza pubblica non solo nelle funzioni "sensibili" ma anche nella gestione industriale.

Oltre il 50% delle gestioni attuali restano nella mani di società in house, controllate dagli stessi enti locali che dovrebbero anche vigilare sul servizio, senza alcuna procedura di trasparenza sui costi o di concorrenza nella qualità dei servizi.

Nel Sud, in particolare, il pubblico dilaga. Come rileva il rapporto Isae sulla finanza pubblica locale per il 2009, il 76% dei 1.738 comuni di Campania, Calabria, Sicilia, Basilicata e Puglia affida attualmente i servizi connessi agli acquedotti a società per azioni a capitale pubblico o addirittura a strutture dell'amministrazione comunale con la formula della gestione diretta.

Qual è, allora, il cuore del problema idrico italiano? Le ragioni che portarono all'approvazione della legge Galli nel 1994 restano valide, nonostante si siano fatti molti passi avanti dove la legge è stata applicata con coerenza. Gli obiettivi erano tre. Il primo: superare la frammentazione delle gestioni idriche, che allora erano 16mila, piccole e inefficienti. Risultato raggiunto, oggi le gestioni sono un centinaio anche se restano oltre 1.300 gestioni comunali "separate", come sorta di enclave entro i nuovi grandi ambiti territoriali ottimali.

Secondo obiettivo: integrare il ciclo idrico, associando alla gestione dell'acquedotto, quella di depurazione e fognatura, assente su larga parte del territorio. Anche questa trasformazione comporta sinergie, risparmi ed economia di scala.

Terzo: favorire gli investimenti per migliorare lo stato degli impianti e rendere più efficiente la gestione. Il problema è passare da un regime pubblico frammentato, inefficiente e largamente sovvenzionato a un sistema industriale che consenta economie di scala e investimenti adeguati, in larga parte autofinanziati.

Il ritardo maggiore nell'attuazione della Galli riguarda proprio gli investimenti finanziati con contributi pubblici a fondo perduto tipici del vecchio regime: solo il 36% dei programmi viene realizzato perché i fondi restano sulla carta, le finanziarie li tagliano dopo averli promessi. La percentuale di investimenti effettivamente realizzati sale invece al 56% se si considerano gli investimenti finanziati da banche e project financing (mediante la tariffa) nei nuovi ambiti della legge Galli. Ancora poco, ma è uno scatto. Anche perché oggi è ingenuo pensare che il Tesoro possa farsi carico di investimenti stimati nell'ordine di 60 miliardi entro il 2020.

Blue, il rapporto sul sistema acqua italiano, curato da Anea (associazione nazionale autorità e enti di ambito) e Utilitatis (centro studi vicino al mondo delle aziende pubbliche) presentando i dati sul servizio idrico integrato aggiornati al 2009, tocca uno dei punti-chiave che rende giustizia delle polemiche pubblico-privato. «Le forme di gestione adottate negli Ato revisionati – dice Blue – prevedono affidamenti in house e a spa mista. Osservando la dinamica degli scostamenti delle variabili previste nei piani per le due tipologie di gestioni prescelte, è possibile ipotizzare che le gestioni in house abbiano incontrato maggiori ostacoli nella ricerca del finanziamento degli investimenti e che gli incentivi ad investire siano più efficaci nel caso di società miste».

Ecco qualche dato tratto da Blue. Il grado di copertura del sistema acquedotto tocca oggi il 95,9% della popolazione italiana. Più bassi il grado di copertura della fognatura (84,7%) e della depurazione (70,4 per cento). Gli investimenti previsti nei piani di ambito fino al 2020 ammontano a 60,52 miliardi: la quota di finanziamento pubblico prevista è dell'11,2 per cento. Gli investimenti in acquedotti saranno 15,88 miliardi (56,2% manutenzione straordinaria su opere esistenti, compresi quelli per ridurre le perdite). Investimenti in depurazione e fognatura: 16,41 miliardi (56,4% su opere esistenti). L'investimento previsto procapite all'anno: 35 euro. Gli investimenti per volumi erogati: 9,74 €/mc.

I costi operativi unitari della gestione, oggi a 0,90 €/mc, sono in crescita verso 0,92 €/mc. Pesa per 0,12 €/mc il canone di concessione, il funzionamento degli Ato e l'indebitamento pregresso degli enti locali. Oggi l'indebitamento pregresso degli enti locali - l'eredità del sistema delle municipalizzate e dell'in house - pesa per 7,6 euro su 100 di costi.

Il consumo è stato di 5,34 miliardi di mc nel 2009 e dovrebbe crescere del 4,4% entro il 2020. La tariffa reale media è stata nel 2009 di 1,29 € per metro cubo. La tariffa media prevista al 2020 è di 1,57 €/mc.

  CONTINUA ...»

22 marzo 2010
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