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La lingua inglese per molti è il lato oscuro della luna. Chi l'affronta, suda, studia e la supera, entra in un altro mondo, ampio come un mare. Chi non può, non ce la fa o semplicemente non ci pensa, rimane dall'altra parte. A salutare gli stranieri con il solito "where are you go?". Ai margini della modernità con l'amarico, l'oromo, il sidamo e le altre sessanta lingue di questo paese mosaico.
Sapere per tutti. Insieme ai ragazzi e ai nostri studenti si pensò che sarebbe stato bello fare una piccola biblioteca per la gente, gli adolescenti, i bambini. E anche riorganizzare la grande biblioteca della scuola dei salesiani. Metterci dentro pagine su pagine in amarico e oromo di amore, avventura, cibo, fantasia, eroi popolari, Menelik e Haile Selassie, Donald Duck e la iena,
la saggezza oromo, la battaglia di Adwa, Abebe Bikila e Haile Gebreselassie… Pagine e caratteri amichevoli, che facessero l'occhiolino, che invitassero alla lettura.
E poi una bella selezione in inglese di dizionari, grammatiche, letture semplificate, metodi multimediali, audiobook, documentari della Bbc. Collane africane. Shakespeare e Chinua Abebe. Drammi dell'aids e famiglia. Volti dell'africa. E foto della capitale, delle ultime tribù dell'Omo River, dell'araba Harar, dei lunghi e "neri" anuak che abitano dove scorre il Baro, ai confini con il Sudan, l'infuocata Dankalia… Terre mitiche, che le parabole e la premier league in diretta non rendono meno esotiche di Liverpool.
Ci sarebbe stata la musica, naturalmente: Teddy Afro, Johnny Ragga, Zerihun, Osebassa, le danze sensuali di guraghe e oromo, Mahmoud Ahmed, il jazz della collana ethiopique. Quella che suona sulle strade sparata da altoparlanti accrocchiati tra cavi volanti e batterie d'auto, nei negozi da barbiere, nei bar. E poi i film di un'Etiopia che conosce la rivoluzione digitale e salta d'un colpo le scuole di cinematografia, la tecnica e la cultura. E telecamera alla mano produce un po' di tutto: storie di amori impossibili, di famiglie divise e ritrovate, di fuga dalla miseria, parodie dei curatori tradizionali, degli anziani. Quasi un videoblogging fuori rete, popolare e africano, che guarda alla modernità aggrappata alle radici.
Libri ai ragazzi di strada. E ancora quotidiani e riviste. Mi raccomandarono le "mazette", stampa popolare e semiclandestina che scrive di calcio, corsa, medicina,
fashion, spettacolo… Le cercammo laddove si trova tutto: a Merkato, Addis Abeba. Nel "più grande mercato all'aperto dell'Africa" arrivano mandrie, pastori hafar, camion con gli ammortizzatori strizzati da carichi di cotone, tessuti, elettronica cinese. Ma non libri e giornali. Le mazette si trovano a Piassa, spalmate sui marciapiedi di questo quartiere battezzato così ai tempi degli italiani d'abissinia.
Nel tempo libero che ci lasciava il nostro lavoro, con un budget all'osso pensammo a piccoli spazi organizzati come una biblioteca ma liberi come una libreria. Scaffali a vista, un tabellone per le recensioni, un posto per le critiche e i suggerimenti. Con i ragazzi del workshop della missione pensammo agli arredi: con ferro, legno, saldatrice, un cacciavite per ogni stagione e l'arte tutta africana di ricavare l'utile con l'essenziale costruimmo tavoli, sedie, scaffali, porte, finestre, mensole. I ragazzi di strada di Addis Abeba accolti nel centro dei salesiani fecero la loro parte costruendo qualche scaffale in bamboo.
Biblioteca di fango. A Boromo, nel gheter (letteralmente campagna, in pratica l'immenso spazio fuori dai centri abitati), arrivarono carichi di sabbia e cemento a dorso di mulo per rifare le aule, in una scuola governativa senza elettricità, tra centinaia di bambini e ragazzi che mordono la vita a piedi nudi. Le cittadine che si allargano attorno alle strade d'asfalto sono un'istantanea degli anni quaranta: torni e frese che riparano mozzi di carretti, vecchie macchine da caffè, sudore e martellate. Nel gheter la fisicità del lavoro sono i muscoli dei contadini, che conquistano metro su metro di terra con zappe, falci arrugginite e aratri di legno. Durante la stagione delle piogge la pista per Boromo è coperta dall'acqua. Tavoli e scaffali arrivarono a bordo di mulo. Un comitato d'accoglienza con il preside della scuola e centinaia di ragazzi scaricarono la roba. Mohamed notò con disappunto che l'aula per la biblioteca era già stata destinata ad altri usi. Ma con il solito cighiriellem (non c'è problema), l'aula venne riconsegnata al suo uso. Mohamed riacquistò il sorriso: «Un minuto prima odio la mia gente. Un minuto dopo amo la mia gente».
Guardiani della carta. Catalogare i libri non fu un lavoro, ma l'ennesima conferma della diversità. "Il catalogo serve solo per controllare che il bibliotecario non si rubi i libri" mi dissero. "No, serve per organizzare la ricerca, per muoversi tra i testi" replicai. Incidenti di percorso: "Delitto e Castigo" finì diretto accanto a "Il Padrino" nelle storie di "mafia e crimine" perché Raskolnikov era solo un leba (ladro) e assassino; Shakespeare nelle short stories umoristiche; la biografia di Bertold Brecht è ancora a cercare lo spazio sugli scafffali… Il catalogo rimase lì, finito e bello e i
ntonso nelle sue schede compilate in tre lingue. Non lo utilizzammo se non per controllare l'onestà del bibliotecario. I ragazzi hanno bisogno di vedere, toccare, rimanere colpiti dalla copertina, da un titolo, da una foto. Guidare alla lettura è un lavoro educativo. E un bibliotecario è soltanto poco più di uno zebegnà: un guardiano alla carta.
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