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Medicina sul Tetto del Mondo. HighCare raggiunge il Campo Base

a cura di Pierangelo Garzia

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24 settembre 2008

Quarta tappa - Eccolo l'Ice Fall. Soltanto il nome incute timore e rispetto. Un gigante di pietra e ghiaccio nella valle di Khumbu. La regione sacra delle popolazioni nepalesi, la gente d'oriente, gli sherpa. Le valli celate dall'Himalaya, dimora degli dei protettori della regione. Khumbu Yul Lha, il dio del paese del Khumbu. Ed eccolo il campo base. Appare come un sogno di puntini colorati in mezzo al bianco del paesaggio, a quota 5400. Le tende sparpagliate su un terreno scosceso ed accidentato, già pronte ad accogliere il gruppo delle decine di medici, ricercatori, psicologi, ingegneri, alpinisti che fanno parte della missione HighCare, organizzata da Istituto Auxologico e Università Milano Bicocca. Arrivati fin quassù per studiare il loro stesso corpo in condizioni estreme, che simulano quelle di tanti malati con patologie cardiache, metaboliche o respiratorie, aggravati da una ridotta disponibilità di ossigeno. Il prezioso nutrimento di tutte le cellule del nostro corpo, a partire dal cervello. E infatti qualcuno del gruppo ha iniziato ad accusare qualche malore – prontamente tamponato dai medici presenti. In fondo, è come avere un piccolo ospedale al seguito. Ma a qualcuno viene suggerito di soffermarsi più in basso, a Periche, per altri due giorni. Per acclimatarsi meglio prima di affrontare le successive altezze.

Il benvenuto del Gigante
Gli sherpa che, già sul posto, hanno allestito il perimetro del campo e le tende corrono - incredibile - incontro al gruppo con i thermos. Tè al limone, sul ghiaccio. Giusto il tempo di sorseggiare la calda bevanda che scende dolce nello stomaco come una manna, e via al lavoro. Nel campo ora c'è l'essenziale per potersi riparare e sistemare i bagagli, ma bisogna stendere cavi elettrici, pannelli solari, collegare i generatori per la corrente. Svuotare borse, bidoni e approntare tutte le attrezzature. Il campo ora sembra un formicaio. Ognuno si agita per sistemare rapidamente le cose, in modo efficace. Le ore dei pasti arrivano che neanche te ne accorgi. E sono altrettante benedizioni per il corpo. Il gruppo, riunito nella tenda mensa, si guarda attorno, esausto, ma soddisfatto. Finalmente un attimo di tregua. Qualcosa di buono - dopo giornate simili il cibo è tutto pazzesco – da mettere sotto i denti. Un piatto di pasta, coppa, pancetta e un bel bicchierozzo di vino, per festeggiare. Inizia a nevicare. Una leggera spolverata di neve sul campo base. Come benvenuto, dal gigante.

Controlli anche di notte
Non è ancora tempo di riposare. I medici ridefiniscono il programma in funzione delle situazioni più complesse del previsto. Gli ingegneri, angeli custodi della spedizione, mettono a punto un piano sicurezza: piccoli sentieri sul ghiaccio per spostarsi in modo agevole, stesura dei cavi di alimentazione, predisposizione dei pannelli solari e del sistema satellitare di collegamento. "Ci vengono distribuiti saturimetri", raccontano al termine del primo giorno in campo base, "per verificare la nostra ossigenazione durante la notte, soprattutto se non ci sentiamo bene, ed è istituito un piano per intervenire al bisogno". Fortunatamente il prof. Parati viene chiamato solo una volta, alle due di notte, per una desaturazione di ossigeno di una partecipante, ma senza conseguenze. Non ci sono altri allarmi e tutti passiamo una discreta notte, per una buona metà con la classica cefalea d'alta quota. L'allestimento delle tende laboratorio e dell'impianto elettrico prosegue anche alla sera sotto la nevicata, grazie all'impegno di ricercatori medici e ingegneri. Non si può perdere tempo. I caldissimi piumini rossi, giustamente battezzati "inferno", di cui siamo dotati, sono una manna in queste situazioni.

Cullati dal ghiacciaio
La notte al Campo. Il gruppo si distribuisce nelle tende e cerca di dormire. Accompagnato dalla ninnananna del ghiacciaio che vive, respira e ondeggia. E' un altro organismo vivente, possente, che cerchi di farti amico. Aspettando con ansia l'alba per ammirare lo spettacolo del sole che sorge sul Tetto del Mondo, coi raggi che fanno luccicare il ghiacciaio come uno scrigno di pietre preziose. Sono le 6 del mattino e il chiacchiericcio emozionato dei primi gruppetti in uscita dalle tende, sveglia pure tutti gli altri. Metti fuori il naso, e ti ritrovi in paradiso. Ecco le vette del Nuptse e del Pumori, nomi magici, lentamente ma inesorabilmente liberate via via dall'ombra della notte, per rivelare la loro titanica bellezza alla luce del sole. Eccolo l'Ice Fall. Gli sguardi del gruppo ora lo scrutano trepidanti, alla ricerca delle scalette e delle attrezzature fisse che consentono il primo, difficile passo verso la cima dell'Everest.

La sveglia degli Sherpa
Intanto gli sherpa, per i quali lo spettacolo è di casa, predispongono i sentieri di collegamento tra le tende, le toilette (sul ghiaccio) e le docce. Mentre in tutto il campo, come un contagio, il lavoro riprende in modo febbrile. Inizia la rilevazione dei parametri vitali di ognuno, mentre nel pomeriggio parte la prima sessione di test cardiologici. Iniziano i monitoraggi di pressione per 24 ore, gli ecocardiogrammi, la rilevazione della rigidità arteriosa, le polisonnografie. E poi inizieranno i prelievi di sangue. Intanto gli alpinisti verificano le attrezzature e i viveri. "I medici sono molto soddisfatti", raccontano i tecnici del gruppo, "delle condizioni generali di noi tutti, il mal di montagna ha colpito con misura e in grado davvero minimo, quindi non ci saranno problemi per le prossime fasi del lavoro scientifico. Questo è un vero successo e dà atto della serietà con cui tutti ci siamo preparati per questa avventura scientifica". Ora inizia la parte più dura della missione. Le piccole figurine colorate si preparano a salire, cariche di tutti i loro marchingegni, lungo il dorso aspro del gigante.

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