Terza tappa - Paradossi della ricerca. Da una parte il massimo della tecnologia del terzo millennio. Dall'altra un salto indietro nel tempo di qualche centinaio di anni. E' l'effetto perturbante che i ricercatori della missione Highcare vivono prima di incamminarsi per raggiungere il primo campo base sul lato sud dell'Everest. Come sottrarsi alle atmosfere di luoghi agli antipodi della nostra vita metropolitana? Monasteri dove soffermarsi prendendo parte alla recitazione di ipnotici mantra, salmodiati dai monaci buddisti. «Om mani padme hum», onore a te gioiello nel fiore di loto. E il sorriso spontaneo incontrato, ad ogni angolo di queste remote latitudini, dal gruppo di ricercatori che si appresta a simulare le condizioni di carenza di ossigeno, componente di tante malattie della nostra opulenta e complessa esistenza occidentale.
A Namche Bazar un gruppo di medici e alpinisti visita la scuola elementare. I bambini, festosi di incrociare questa specie di supereroi usciti da chissà quale fumetto, ringraziano con le mani giunte e un inchino per il semplice dono di matite colorate, gomme e quaderni acquistati dall'unico negozio di Namche fornito di cancelleria.
Una scuola solare
E il gruppo di Highcare decide di lasciare alla scuola una batteria di pannelli solari, sulla strada del ritorno dalla missione scientifica sull'Everest. Se davvero esiste la legge del karma, qui è il posto giusto per controbilanciare, un poco, la disparità tra la nostra vita e la loro. Un tè con latte, la tradizionale bevanda nepalese, seduti sulle panche di legno della scuola in compagnia dei bambini e dei loro insegnanti. Meditando che qui, come altrove, si può migliorare la vita della gente davvero con poco. 
E' l'ultima giornata di test sui loro stessi organismi, a quota intermedia, del folto ed eterogeneo gruppo che compone la missione Highcare, promossa da Istituto Auxologico e Università Milano-Bicocca. Buona parte dei bidoni contenenti tutto il necessario per affrontare la scalata, sono già partiti alla volta del campo base, caricati sugli zhokyo, incrocio tra vacche e yak, assieme ad una parte dei bagagli trasportati dai portatori. E' l' ultimo giorno a Namche Bazar e il gruppo deve impacchettare di nuovo tutto l'attrezzatura in partenza per il campo base. Le grandi valigie nere ingombrano i corridoi del primo piano del lodge.
Verso la grande Montagna
Da qui in poi, la vita del gruppo sarà sempre meno riparata e, diciamo così, confortevole. In aggiunta a tutto il lavoro di ricerca medica da svolgere, si tratta degli ultimi, mistici momenti di questi luoghi votati al ad un altro tipo di ricerca, quella interiore, prima di stringere i denti e marciare. In mezzo a una natura eccelsa, che però non fa sconti a nessuno. Serviranno anche le impalpabili sciarpe bianche benaugurati che i bambini della scuola hanno regalato al gruppo, prima di congedarsi. Anche se gli alpinisti scalpitano per affrontare, finalmente, la vetta del tetto del mondo. E questa volta dovrebbero farlo indossando magliette ipertecnologiche, battezzate "Magic" dalla Fondazione Don Gnocchi che le ha messe a punto, in grado di registrare le funzioni vitali del loro corpi in ascesa.
«I cuochi», scrive con gli occhi pesanti nel suo diario telematico Gianfranco Parati, «prima di partire ci hanno preparato una cena speciale con bistecca di yak e torta di mele ancora tiepida di forno. Tutti speriamo che le previsioni dei nostri meteorologi, secondo cui domani ci saranno acquazzoni, siano sbagliate. E il cielo stellato visto in prima serata dalle finestre, sia di buon auspicio per l'inizio del nostro trekking. Ma pare che il sogno non sia facile ad avverarsi. Ora è quasi l'una di notte. Vado a riposare. Cullato dal suono della pioggia monsonica».
Zaini in spalla e camminare
«Sveglia alle 6.30», prosegue Parati, ricercatore capo della missione Highcare, «consegna sacche alle 7, colazione e alle 8 tutti pronti zaini in spalla per la prima tappa del nostro trekking. Ci attende una camminata di 5-6 ore con 2 ore di sosta pranzo. Meta il monastero di Tengboche, dove ci attende un lodge per la notte. La nostra partenza è di per sé uno spettacolo, con le sacche rosse caricate su yak e zhokyo. Gli sherpa con gerle di legno intrecciato, cariche di borse nere di strumenti, bidoni, viveri e attrezzatura. Sembra impossibile che persone così minute possano portare su sentieri scoscesi carichi tanto pesanti. La nostra lunga colonna si snoda per il sentiero, sotto un bel sole che schiude panorami mozzafiato sulle valli e vette innevate del Lothse e dell'Ama Dablam, che fanno capolino tra le nuvole. Incontriamo nepalesi diretti a Namche, case sparse con bambini dai volti e sorrisi stupendi. Sembra di vivere in un sogno».
Un po' sogno, un po' incubo. Il gruppo di Highcare non è protetto nell'asettico, organizzato e funzionale ambiente di un moderno laboratorio di ricerca. Se ti avventuri su, lungo il tragitto che sale verso altezze normalmente percorse dagli aerei di linea, portandotelo appresso, il laboratorio, devi essere pronto a tutto. Ecco perché, questo genere di studi, sono pure terreno di prova delle capacità di intervento medico in condizioni estreme.
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