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«Con Obama è scoppiata anche la bolla della politica»

di Alberto Orioli

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C' era una bolla nella finanza. C'era una bolla nella politica. A gonfiarle lo stesso «conformismo di idee dominanti, staccate dalla realtà, una analoga manipolazione delle coscienze a danno delle regole che ha creato una specie di epidemia delle opinioni, un contagio sociale che ha mescolato i destini delle istituzioni e quelli dei soggetti economici». Tommaso Padoa-Schioppa, ex ministro dell'Economia del Governo Prodi, partecipe del fenomeno Barack Obama con sguardo globale, euro-americano. In questi giorni passa da Parigi, dove presiede la Fondazione Notre Europe, a New York, alle riunioni del Gruppo dei 30 dove sta lavorando con Paul Volcker, fresco consigliere della Casa Bianca tornata ai democratici. Nella notte del sogno americano è, dunque, scoppiata anche la bolla politica che ha unito istituzioni e finanza in una comune dottrina della deformazione delle regole: «Non c'erano le armi di distruzione di massa, non c'erano le basi del terrorismo in Iraq, non c'erano le garanzie per i mutui, non c'erano i rating ottimali, non c'era quel senso di ricchezza creato artificialmente dall'eccesso di liquidità.C'era solo il sonno delle coscienze».

Il 4 novembre, vittoria della democrazia, è stato così il tempo di Obama. «Chi ha la mia età, ma anche chi è più giovane, ha avuto per settimane la percezione di avere vissuto, in economia, qualcosa di irripetibile nell'arco di una intera vita, una crisi planetaria di portata inimmaginabile. Questa stessa sensazione si è ripetuta, anzi, superata con l'elezione di Obama: abbiamo tutti il senso di avere assistito a un fatto epocale. Ognuno di noi ricorderà dov'era quella notte, che cosa stava facendo, con chi era. È stata la notte in cui la democrazia ha saputo curarsi con più democrazia, come aveva pensato Tocqueville».

La tesi di Padoa-Schioppa è che «l'elezione di Obama ha due aspetti notevoli: una formidabile interazione tra leadership politica (una personalità eccezionale) e partecipazione popolare ( la più alta da un secolo a questa parte) e una specialissima combinazione di continuità e cambiamento. La leadership suscita, anima, risveglia l'adesione di popolo che le dà forza. E c'è un cambiamento quasi sconvolgente realizzato, tuttavia, nel nome di quei principi fondamentali su cui è nata l'unione americana».

Si è interrotta la fase di «conformismo intellettuale» durata così a lungo da avere portato, nelle cose dell'economia, a «un risveglio tanto più doloroso quanto più ritardato, ma ora accompagnato da un altro risveglio, quello della politica, diventato generatore di speranza». Padoa-Schioppa ricorre all'inglese: «Abbiamo visto la politics, vedremo tra poco la policy». Finora è stato il tempo della democrazia, adesso verrà quello del governare. Per Obama saranno, uno dopo l'altro, passi su quella salita ripida cui lui stesso ha fatto più volte riferimento. Ma avrà due vantaggi, dice l'ex ministro, rispetto a Bush: «Una base di consenso straordinaria, che serve quando chiedi sacrifici al Paese, come egli dovrà fare. E poi la consapevolezza che l'economia di mercato funziona solo se è soggetta a regole, che occorre governare il mercato con forza, ma senza soffocarlo».

Padoa-Schioppa ricorre alla metafora del pendolo: «La crisi inverte una lunga oscillazione delle idee e delle politiche. Con Reagan si ebbe una svolta, dopo che l'uso estremo delle politiche interventiste aveva prodotto inflazione, stagnazione e il distacco del dollaro dall'oro; fu una svolta necessaria, perché nel tempo si era consolidato un atteggiamento troppo anti-mercato. Nell'era Bush quel movimento era giunto all'altro estremo: è mancata la cultura delle regole, si è proclamato che governare consistesse solo nel togliere regole. È un elemento di filosofia economica - prosegue l'ex ministro - quello che segna la discontinuità di oggi. L'elezione del nuovo presidente è una svolta imposta dai fatti e dalla sua storia. La radice roosveltiana di alcune delle idee di Obama è evidente ed egli si troverà a fronteggiare la più grande crisi dell'economia mondiale. Credo che userà il pragmatismo necessario, perché nessuno dimenticherà che all'origine di tutto c'è la crisi di una visione ideologica dell'economia,quella secondo cui i mercati hanno sempre e comunque ragione e non hanno bisogno di interventi».

Invece di interventi ce ne sono stati parecchi. A cominciare dal colossale piano Paulson destinato a salvare le prime banche d'affari americane e, con loro, l'intero Paese dal rischio sistemico. E se fosse anche quello parte del conformismo, della manipolazione politico-economica? «Non lo penso è la tesi dell'ex banchiere centrale italiano - quella risposta alla crisi era necessaria perché si doveva far fronte, subito, all'effetto panico.Ci vuole un compratore di ultima istanza quando tutti vogliono vendere. Ci vuole un soggetto forte e autorevole per rassicurare i troppi che pensano solo al «si salvi chi può». E questo soggetto non può che essere pubblico; e da noi deve essere l'Europa».

  CONTINUA ...»

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