La "corporate responsability" sta assumendo un'importanza sempre maggiore nell'economia delle attività aziendali e l'essere responsabili nei confronti dell'ambiente è senza dubbio uno dei punti caldi nell'agenda di molte (grandi soprattutto) organizzazioni del pianeta. E i dipendenti, lo dice la recente ricerca "The Sustainable IT Survey 2008", condotta da Vanson Bourne per conto di Bea Systems (la società di software oggetto dell'ultima scalata di Orale), sono coloro che maggiormente possono influenzare le sorti di un'azienda votata all'obiettivo dell'eco-compatibilità.
Il 23% del campione di circa 500 di funzionari censito dall'indagine in 12 Paesi europei (Italia compresa) ha infatti dichiarato che il potere di sensibilizzare i vertici aziendali verso i temi del "green It" e delle riduzione delle emissioni nocive è nella mani degli addetti di ogni singola organizzazione. Influenti sono anche gli enti governativi (citati nel 21% dei casi), i privati cittadini (16%) e i clienti (15%). I più sensibili e determinati sostenitori della causa ambientale sono i lavoratori del Nord Europa (per lo meno il 37% di loro) mentre le istituzioni di Regno Unito e Belgio (39% e 30% rispettivamente) risultano essere quelle più condizionanti (in positivo) verso un approccio responsabile delle aziende. Plauso, infine, ai cittadini tedeschi, che si distinguono (con una percentuale del 21% rispetto a una media europea del 15%) come i soggetti più influenti per poter mettere in atto politiche di salvaguardia preventiva dell'ambiente.
Programmi di "carbon footprint": Regno Unito davanti a tutti
L'impatto esercitato dalla forza lavoro non deve essere quindi minimamente sottovalutato dalle aziende, che ad ogni buon conto qualcosa per evitare ulteriori danni all'ambiente sembra pure che lo stiano già facendo. Il 34% delle organizzazioni europee è infatti attualmente impegnata nel misurare le proprie emissioni di CO2 (tecnicamente l'indice calcolato si chiama "carbon footprint") e il 22% intende farlo nell'immediato futuro. Belgio (con una percentuale dichiarata del 73%), Regno Unito (70%), Italia e Francia (appaiate al 65%) i Paesi più virtuosi in questo genere di attività, mentre la Germania (32%) e Olanda (38%) quelli che lamentano l'interesse minore. In Europa, nel complesso, il 29% delle aziende censite non ha intrapreso nessuna iniziativa in tal senso, e neppure ha pianificato di farlo nel breve termine.
Il ruolo giocato dai vertici (Ceo, presidenti e direttori generali) può secondo lo studio dare un ulteriore impulso allo sviluppo di programmi per la riduzione delle emissioni; allo stato attuale un quinto delle organizzazioni europee vede in queste figure (coadiuvate in alcuni casi dagli It manager, dai responsabili delle operation o da consulenti esterni) il "driver" per tali progetti e ha messo a punto un piano di azione "verde" per soddisfare gli obiettivi aziendali in fatto responsabilità sociale e ambientale.
Politiche di riciclo: Italia al secondo posto
Studiare e implementare una politica di riciclo, dice infine la ricerca di Vanson Bourne, è una sorta di passaggio obbligato per la maggior parte delle aziende. La gestione dei rifiuti (carta, computer, apparati digitali e di rete) è infatti una problematica sentita alla stregua di "dovere aziendale" dal 61% delle imprese campionate. Obiettivo non meno importante da raggiungere, citato nel 49% dei casi, è quello di una gestione più efficiente dell'energia necessaria per alimentare impianti di illuminazione e riscaldamento, obiettivo che fa il paio con la necessità di ridurre i consumi delle infrastrutture It, priorità per il 46% delle aziende, e quello di contentere i viaggi di lavoro (opportunità evidenziata dal 26% del campione).
Anche in questa speciale classifica si distingue il Regno Unito, dove il 72% delle organizzazioni mette in cima alla lista dei programmi quello dedicato al riciclo. L'Italia, e il dato fa sorgere qualche dubbio sulla bontà dei dati raccolti, si posiziona al secondo posto con una percentuale del 68%, davanti a Spagna e Portogallo con il 67%.
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