4 novembre 2005 |
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Prego, niente fiori
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Una celebrazione post mortem in Italia non la si nega quasi a nessuno.
Si comincia con l'uso dell'applauso alla bara in uscita sul sagrato (per tutti), si prosegue con le lacrime in televisione (per i più o meno famosi), su su fino alle commemorazioni in pompa magna ad uso di telecamere e professionisti delle conferenze con banchetto alla memoria. Niente di scandaloso o nuovo. Giusto trent'anni fa Pier Paolo Pasolini è stato ucciso sul Lido di Ostia, e l'occasione per dibattiti, parole compiacenti e riconoscimenti negati in vita, si è rivelata imperdibile.Come avrebbe potuto la melassa mediatica perdere un evento simile?
Eppure nel caso di un intellettuale scomodo e controcorrente come lui tutto questo consenso inevitabilmente porta con sé qualcosa di stridente. In molti si domandano cosa ne direbbe l'anticonformista ch'era in lui, salvo poi prendere atto, senza troppi moti di rabbia o reazione, del grande senso di vuoto che si nasconde dietro queste celebrazioni.
«Di poeti ne nascono pochi in un secolo» ammonì un profetico Alberto Moravia davanti alla bara dello scrittore friulano. «Di poeti ce ne sono, manca la sua indignazione» ci ha detto in un'intervista Dacia Maraini. Anche ad arrovellarsi un intellettuale come lui, a tutto tondo, oggi non lo si trova: qui sta la vera stranezza, più ancora che nel destino che oggi tributa consensi all'artista scomodo ed avversato che Pasolini era e continua ad essere.
Riflettori puntati dunque sul poeta controcorrente, sul comunista inviso ai comunisti perché omosessuale, sul cristiano in odor di blasfemia, sul contestatore dei contestatori, sull'artista e uomo dell'oltre e del contro.
Molti di quelli che gli furono amici pensano che queste celebrazioni e il gran parlare che ne è scaturito - celebrazioni tributate, è bene ricordarlo, ad un uomo che in vita venne molto contrastato, odiato fino alla morte e al disprezzo finale contro il suo cadavere - possano servire a tener desta l'attenzione intorno al giallo del suo omicidio; conducano alla agognata meta della riapertura del processo. Non è dato sapere se resteranno solo auspici.
Le verità sull'uccisione dell'uomo Pasolini potrebbero anche essere diverse, come diversi furono il suo cinema e la sua poesia (come disse lui stesso: la mia poesia è diversa dal quella del '900; sostituisce il logico all'analogico, il problema alla grazia).
«Stiamo alla bellezza della sua poetica e del suo cinema» dice il cugino Nico Naldini, per non rischiare di scambiare l'artista con la parabola dell'uomo. Giusto, forse. A trent' anni dalla sua morte il grande poeta resta. Abbiamo smarrito l'intellettuale.
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