«Ci siamo, credo». Con queste tre parole un secolo fa, il 6 aprile 1909, l'esploratore Robert Peary, ingegnere della marina americana, in viaggio da un mese e mezzo sul pack, informò i suoi compagni d'avventura che la meta era raggiunta: per la prima volta degli uomini (loro, appunto) erano arrivati al Polo Nord. Poi piantò nel ghiaccio la bandiera americana, più quelle della marina Usa e della Croce rossa. La notizia del successo fu annunciata al mondo nel settembre successivo. E a novembre la National Geographic Society la ratificò.
Da allora il 6 aprile è considerato ufficialmente l'anniversario della conquista del Polo Nord. E Peary è indicato come il suo protagonista. Ma intanto ha preso piede tutt'altra versione dei fatti: l'ingegnere americano non fu affatto il primo uomo che giunse al punto culminante del Pianeta, dove la latitudine tocca i 90° e la longitudine non si può calcolare. Anzi, forse lassù non arrivò proprio mai: né per primo né per secondo. A dirlo è la stessa Ngs, che nel frattempo ha fatto autocritica rispetto alla sua frettolosa ratifica di un secolo fa.
Va detto che ampi dubbi sulla verità ufficiale erano emersi fin dall'origine. Infatti il primato rivendicato da Peary era stato subito contestato da un altro americano, il medico-esploratore-alpinista Frederick Cook, che sosteneva di aver raggiunto il Polo Nord il 21 aprile 1908, quindi con un anno di anticipo rispetto al rivale. Ne era nato un autentico "caso", che aveva diviso l'opinione pubblica: infatti, se da un lato Cook non era in grado di fornire prove adeguate della sua impresa, dall'altro la versione di Peary era contraddetta da calcoli precisi.
Per capire il prblema, occorre vedere com'era organizzata la spedizione dell'ingegnere. Che partì a febbraio dalla Terra di Grant (in Groenlandia) con 26 uomini e 140 cani da slitta, divisi in sei squadre destinate in gran parte al trasporto di provviste. Via via che il cibo veniva consumato, le slitte vuote e diventate inutili dovevano tornare alla base. Una sola squadra, tenuta leggera, avrebbe dato l'assalto finale al Polo. Tutto si svolse come previsto: l'ultimo gruppo d'appoggio invertì la rotta il 30 marzo. E Peary continuò con 5 uomini.
Ebbene: fino a quel momento le slitte erano avanzate con un'andatura media di 21 km al giorno; ma da allora in poi, per coprire la distanza residua entro il 6 aprile, avrebbero marciato a una velocità più che tripla, 71 km ogni 24 ore. Questo dato fu giudicato da molti inverosimile, anche se le slitte erano alleggerite e il personale super-selezionato: con Peary, nell'ultima squadra c'erano un altro americano (Matthew Henson, vedi box) e quattro eschimesi, veterani di spedizioni precedenti (Egingwah, Ooqueah, Ootah e Seegloo).
Finì che metà America si schierò dalla parte di Cook. Il quale era partito per il Polo nel 1908, aveva trascorso la notte artica sul pack ed era rientrato alla base, quando tutti lo davano ormai per morto, proprio nell'aprile 1909, cioè mentre la spedizione di Peary viveva il suo epilogo. Nonostante il pronunciamento della Ngs, il dibattito continuò per anni, coinvolgendo addirittura il Congresso, che istituì una commissione ad hoc e nel 1911, nonostante i dubbi, attribuì a sua volta il titolo di conquistatore del polo a Peary con 135 voti contro 34.
Dietro il verdetto del Congresso c'erano però più ragioni politiche che argomenti scientifici: appoggiato dalla Marina, dalla Ngs e dal New York Times, Peary si prestava al ruolo di eroe nazionale meglio di Cook, uomo eccentrico, sospettato di simpatie anarchiche e di reati contro il patrimonio. Solo pochi anni fa, come detto, la Ngs ha concluso che in realtà Peary non arrivò mai al Polo Nord: l'esploratore, finito fuori rotta, avrebbe concluso la sua spedizione 80 miglia marine più a ovest della meta. Ma allora il primo uomo al polo fu Cook? Forse sì.
Fra i due litiganti, però, c'è un terzo incomodo: se anche il medico-esploratore non fosse arrivato alla meta, il titolo di conquistatore del Polo Nord spetterebbe a tale Ralph Plaisted, lui pure americano, che raggiunse i 90° di latitudine il 20 aprile 1968. Non aveva cani da slitta, ma – meno romanticamente due gatti delle nevi.