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I sette falsi miti sulle energie rinnovabili

di Michael Grunwald

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6 settembre 2009

Il mondo cerca affannosamente un'alternativa al petrolio. Dovrebbe fare tutto ciò che è plausibile per promuovere le energie alternative, ma anche questo non ha senso. Ci sono pressioni finanziarie, politiche e tecniche, oltre che vincoli temporali, che costringeranno a scelte difficili: le soluzioni dovranno andare nel senso di ottenere le maggiori riduzioni possibili di emissioni al minor costo e nel minor tempo possibile.

Le macchine a idrogeno, la fusione fredda e altre tecnologie ipotetiche potranno anche sembrare accattivanti, ma rischiano di distogliere risorse preziose da idee che sono già ora raggiungibili e che sono efficienti sul piano dei costi. È divertente l'ipotesi di poter alimentare la propria automobile con gli scarti delle liposuzioni, ma questo non significa che sia il caso di sovvenzionarla.

In questi anni, l'idea di combustibili rinnovabili è parsa meravigliosa: le lobby agricole hanno convinto i paesi europei e gli Stati Uniti a varare programmi davvero ambiziosi per promuovere le alternative agricole alla benzina. Fino a questo momento, le cure (per lo più etanolo derivato dal granturco negli Usa e biodiesel ottenuto dall'olio di palma, dalla soia e dalla colza in Europa) si sono rivelate peggiori delle malattie. Siamo ancora in tempo per scegliere una via realmente alternativa. Ma faremmo meglio a darci una mossa, cominciando ad abbattere i sette falsi miti sulle energie rinnovabili.

1) Bisogna azzerare la dipendenza dal petrolio
I combustibili fossili stanno producendo sfracelli sul clima e lo status quo è insostenibile. Attualmente il mondo scientifico concorda sulla necessità, per il bene del pianeta, di ridurre le emissioni di gas serra di oltre il 25% da oggi al 2020, e di oltre l'80% da ora al 2050. Anche se di mezzo non ci fossero le sorti del pianeta, mettere fine alla dipendenza dal petrolio e dal carbone servirebbe anche a ridurre l'influenza globale dei "petro-banditi" e la vulnerabilità alle impennate dei prezzi dell'energia. Le persone ragionevoli possono non essere d'accordo con l'idea che i governi devono scegliere fra soluzioni vincenti e soluzioni perdenti. Ma perché non accettare almeno il concetto che i governi non devono dare la priorità alle soluzioni perdenti? Purtroppo è quello che sta succedendo. Il mondo si sta affannando a promuovere combustibili alternativi che di fatto accelereranno il riscaldamento globale, per non parlare di una fonte energetica alternativa che rischia di vanificare gli sforzi per fermare il riscaldamento globale.

2) Gli effetti perversi causati dalla deforestazione
Nel 2007, i ricercatori hanno riconosciuto gli effetti perversi in termini di deforestazione provocati dai biocombustibili. Ci vorranno quattrocento anni di utilizzo dei biocombustibili per "ripagare" l'anidride carbonica emessa con la bonifica delle torbiere finalizzata alla coltivazione della palma da olio. I danni indiretti rischiano di essere altrettanto devastanti: in un pianeta affamato, se si usano per i biocombustibili le piantagioni destinate al consumo alimentare, bisognerà trovare un altro luogo per gli alimenti. Ad esempio, i profitti dell'etanolo stanno spingendo i coltivatori di soia statunitensi a passare al granturco, e i coltivatori brasiliani di soia, per coprire l'ammanco di soia, si stanno espandendo sui terreni da pascolo, e gli allevatori brasiliani, a loro volta, invadono la foresta amazzonica. La richiesta di biocombustibili fa crescere la domanda di cereali spingendo i prezzi e rendendo profittevole saccheggiare la natura.

La deforestazione pesa per il 20% sulle emissioni globali: a meno che il mondo non riesca a eliminare le emissioni provenienti da tutte le altre fonti, bisognerà salvaguardare le foreste. Ciò significa limitare l'impatto ecologico dell'agricoltura: è un compito impegnativo considerata la crescita della popolazione; è un compito impossibile se vasti terreni agricoli vengono convertiti alla produzione di piante utilizzate per produrre mediocri quantità di combustibile. Se gli Usa destinassero il loro intero raccolto di granturco all'etanolo, servirebbe a rimpiazzare solo un quinto della benzina consumata nel paese.

I cereali necessari per riempire il serbatoio di un Suv di etanolo basterebbero a nutrire una persona affamata per un anno: produrre biocombustibili scatena un costante rialzo dei prezzi dei prodotti alimentari e tante rivolte per il cibo nei paesi poveri. Nonostante questo, gli Stati Uniti, in dieci anni, hanno quintuplicato la produzione di etanolo; prevedono di quintuplicarla ancora nel prossimo decennio. Così ci saranno più soldi per i sovvenzionatissimi agricoltori americani, ma anche più malnutrizione, più deforestazione e più emissioni.

3) Biocombustibili di seconda generazione
La normativa americana, pur offrendo un sostegno generoso all'etanolo da granturco, include nuovi ingenti fondi per i biocombustibili di seconda generazione, come l'etanolo cellulosico, derivato dal panico verga, erbaccia della prateria. Sarebbero meno distruttivi dell'etanolo da granturco (per produrlo servono trattori e fertilizzanti). Anche l'etanolo di prima generazione derivato dalla canna da zucchero - in Brasile fornisce metà del carburante per trasporti - è più ecologico dell'etanolo da granturco. Studi recenti indicano che qualunque biocombustibile che abbia bisogno di terreni agricoli per essere coltivato sarebbe comunque peggiore della benzina, quanto a effetti sul riscaldamento globale. Un disastro meno disastroso dell'etanolo da granturco resta comunque un disastro.

  CONTINUA ...»

6 settembre 2009
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