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Clinton: Israele e Palestina più vicini

di Peter Baker e Susan Glasser

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1 dicembre 2009

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Quanto durerà dipende da una cosa sola: se le regioni nelle quali operano i gruppi terroristici più organizzati ed efficienti resteranno o meno essenzialmente a sé, disgiunte dagli stati nei quali si trovano. I territori in Pakistan e le aree al confine con l'Afghanistan non appartengono ad alcuno stato centralizzato. Robert Kaplan ha scritto una marea di libri su ciò che stava accadendo nel mondo moderno: chi ha letto The ends of the Earth e altri libri del genere - che parlano di come di fatto, a prescindere da quello che dicono le leggi, stiamo diventando nazioni di megalopoli-stato, piene di persone povere, arrabbiate, frustrate, prive d'istruzione ed estremamente vulnerabili - teme che ci ritroveremo moltissimi The Millionaire; beh, se le cose stanno davvero così allora potremmo dover convivere con il terrorismo - ovvero con gente disposta a uccidere, rubare, esercitare violenza, sottraendosi all'autorità di uno stato e continuando a passare da un paese all'altro con grande facilità e a proprio piacimento - ancora molto, molto a lungo. D'altro canto, è pur vero che per prosperare il terrorismo deve attecchire dove vi sono ansia e opportunità a uno stesso tempo. Una delle cose che gli Stati Uniti e gli altri paesi dovrebbero fare è cercare di aiutare gli stati-nazione ad adeguarsi con successo alle realtà del XXI secolo.
Anche risolvere i problemi energetici, per quanto paradossale possa sembrare, sarebbe estremamente utile a moderare il fascino che il terrorismo esercita su alcuni, perché se fossimo in grado di cambiare i nostri metodi di produzione o di consumo dell'energia in tutto il mondo, si creerebbero molteplici opportunità per il settore dell'istruzione, per l'imprenditoria, per il lavoro, e si riuscirebbe a coinvolgere le donne e le giovani in scambi economici positivi, a ogni livello di reddito nazionale possibile, dagli stati ricchi a quelli più poveri. Pertanto, credo che sarebbe necessario dare incarico ai teorici e ai creativi che si occupano di energia di riflettere su queste cose, perché il mondo è talmente integrato da dover avere una fonte di nuova attività economica. Nelle regioni più povere, per andare avanti alcuni anni sarebbe già sufficiente accelerare i processi di produzione agricola e far frequentare la scuola a tutti i bambini.
Per la questione dell'identità si dovrebbe rivolgere attenzione ai grandi intellettuali: Samuel Huntington ha scritto il famoso libro Lo scontro di civiltà, ma ci occorre uno sforzo per spiegare - e per quanto possibile inglobare - le teorie dell'identità di natura biologica, psicologica, sociale e politica, perché è ovvio che in un'epoca d'interdipendenza quello che vogliamo è che si realizzi la tesi avanzata da Wright, ovvero che esistano quante più soluzioni nonzero possibili. Queste sono le cose che vogliamo. Speriamo che abbia ragione quando afferma che religione e scienza sono conciliabili. Speriamo che il discorso del presidente al Cairo si riveli giusto, che esista una strada per colmare il divario esistente tra le varie generazioni. Ho fatto moltissimi discorsi e conferenze sull'11 settembre, affermando che le nostre divergenze politiche e le nostre differenze religiose possono essere ricomposte. Credo che il presidente Obama abbia detto che è necessario rispettare chi è in dubbio.
Per quanto mi riguarda, ho sempre affermato che essere religiosi e devoti per definizione significa sapere che esiste una cosa detta Verità, con la "V" maiuscola. Pertanto, perché un pianeta caratterizzato da mille differenze possa funzionare si deve ammettere che esiste un'enorme distinzione tra l'esistenza di una Verità con l'iniziale maiuscola e l'abilità di ogni singolo essere umano di comprenderla fino in fondo e di tradurla in azione politica al 100% in modo coerente con essa. È quanto basta, è questo che si deve fare: accettare la fragilità umana. Non si può semplicemente dire a chi professa una religione di farlo soltanto in parte, perché egli crede che esista una verità. La vera domanda da porsi è un'altra, capire se si riesce a comprenderla e a trasformarla in un programma politico, qualcosa di molto diverso. E questo è un caso palese di presunzione.

Facciamo un "botta e risposta". Quali sono i primi tre libri che le vengono in mente che ha letto di recente?
Sto leggendo il libro di H. W. Brands su Franklin Delano Roosevelt, una nuova biografia di Gabriel García Márquez, e ho appena terminato il libro di Joshua Cooper Ramo, che mi è piaciuto abbastanza, anche se credo che dovrebbe scriverne un altro, contenente le applicazioni pratiche e le intuizioni strategiche.

I primi tre leader che bisognerebbe non perdere di vista, Obama escluso.
Il primo ministro australiano Kevin Michael Rudd è molto brillante, ha una vera smania di conoscere le cose ed escogitare come risolverle. Poi credo che si dovrebbe analizzare che cosa ha fatto di preciso Paul Kagame in Ruanda, l'unico Paese al mondo che ha in parlamento una rappresentanza femminile superiore a quella maschile e a quella di qualsiasi altro paese (naturalmente anche a causa della composizione demografica del Ruanda dopo i genocidi). Non sarà un paese perfetto, ma credo che il Ruanda abbia enormi potenzialità tra tutti i paesi in via di sviluppo che ho visitato, e sia disposto ad accettare aiuti esterni e farne buon uso.
  CONTINUA ...»

1 dicembre 2009
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