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ANALISI/ Rischio Shanghai sui listini mondiali

di Walter Riolfi

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17 marzo 2010
Rischio Shanghai sui listini mondiali

È la Cina che preoccupa», lamentavano nel pomeriggio di lunedì gli operatori di Wall Street vedendo scendere l'S&P in simpatia, così sostenevano, con l'ennesima scivolata dell'indice di Shanghai. Ma queste lamentazioni sono per lo più di maniera: perché già nella serata di lunedì i trader avevano cambiato idea, argomentando sulla presunta bontà del piano Dodd (regolamentazione del sistema finanziario). Allo stesso modo, ieri, alla notizia che S&P aveva mantenuto un rating invariato sulla Grecia, Wall Street ha superato in entusiasmo la stessa Europa: sebbene avesse mostrato una certa indifferenza per i problemi dei debiti sovrani nel Vecchio continente. Eppure la Cina potrebbe davvero essere fonte di preoccupazione e non sorprenderebbe che una nuova sindrome cinese finisse per turbare i mercati finanziari mondiali nei prossimi mesi. Come se non bastassero i problemi sul debito greco e il possibile contagio ad altri stati europei.

Invece il problema della Cina parrebbe essere opposto, una crescita troppo rapida e che per molti economisti starebbe creando delle bolle speculative: sugli immobili, sulla valuta e, secondo alcuni analisti, anche sulla borsa. Se il pericolo più grande, ma più lontano, è lo scoppio di una nuova crisi economica e finanziaria, quello immediato è il risorgere dell'inflazione, come segnalerebbe l'incremento del 2,7% su base annua registrato a febbraio. Ci sarebbe un'altra questione che accomunerebbe la locomotiva cinese alle zoppicanti economie dei paesi sviluppati: l'enorme e crescente debito pubblico. Partiamo dalla presunta bolla immobiliare.
Per comprare una casa di 90 metri quadrati a Pechino, nel quartiere di Chaoyang, un'area residenziale, due chilometri a est di piazza Tiananmen, un cittadino dovrebbe spendere una somma pari a 80 volte il salario medio degli abitanti della capitale. Il costo per metro quadrato in uno di quei grandi palazzoni sorti come funghi negli ultimi 4-5 anni varia dai 3mila ai 4mila euro. Sono i prezzi di Milano nella prima cerchia attorno al centro storico. E non è il quartiere più caro, perché a Xichang si superano agevolmente i 4mila euro e nello Haidian (a ovest di Tiananmen) si possono superare i 5mila €. Se si pensa che un salario medio è attorno ai 600 € mensili, l'acquisto di una abitazione è diventato proibitivo, anche attraverso un mutuo. Come nota un analista di Nomura, il costo di una rata assorbirebbe il 60-70% del salario mensile di un medio cittadino. Nelle 70 maggiori città del paese i prezzi sono cresciuti dell'8% in un anno. Ma a Pechino, Shanghai e Shenzhen sono volati del 33%, più che raddoppiando in tre anni. Una buona parte dei 1.300 miliardi di $ prestati dal sistema bancario nel 2009 sono serviti per finanziare le costruzioni. Lo sanno bene le autorità di Pechino che adesso stanno cercando di contenere il fenomeno con una serie di misure restrittive sul credito.

Il secondo problema è il renmimbi, la valuta cinese, che è artificialmente legata al dollaro. Secondo il premio Nobel Paul Krugman, sarebbe sottovalutata tra il 20 e il 40%, creando in tal modo un enorme danno commerciale agli Usa e agli altri paesi occidentali. Il risultato è un accumulo di riserve valutarie pari a 2.400 miliardi di $ che s'incrementano a ritmi 10 volte maggiori rispetto a 7 anni fa. Può aver problemi un paese con così grandi riserve? Sì rispondo molti economisti: non avevano altrettanto grandi surplus gli Usa negli anni 20 e il Giappone a fine '80? Inoltre l'opacità delle statistiche cinesi sottostima la reale entità del debito pubblico (considerando anche quello delle banche, dei governi locali e dei numerosi veicoli d'investimento finanziati dallo stato), cosicchè il valore che si ottiene sarebbe vicino al 100% del Pil e non al 22% stimato dal Fmi. Per questo l'economista Kenneth Rogoff non esclude una recessione in Cina, come conseguenza delle bolle speculative. Forse l'aspetto meno preoccupante è adesso la borsa che, dopo il massimo relativo dello scorso agosto, è tornata ai livelli di 9 mesi fa.

L'inflazione cinese spinge verso l'aumento dei tassi di interesseNell'anno della Tigre meno sacrifici più consumi per i cinesi (di Sara Cristaldi)

17 marzo 2010
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