La storia insegna che il rapporto tra l'economia, la finanza e l'etica è stato sempre un rapporto profondamente dialettico e, a volte, conflittuale. Da una parte, infatti, il termine "etica" è polimorfo, vasto, cambia significato nel tempo e in relazione a contesti sociali differenti. Dall'altra parte, di economia e, soprattutto, di finanza si parla male o bene sin da tempi remoti. Da Aristotele a Bertolt Brecht, che condannano l'antica attribuzione usuraia di banche e banchieri, fino ad Amartya Kumar Sen, economista indiano dei nostri giorni (Premio Nobel per l'economia nel 1998) che, contrapponendosi a numerosi studi teorici, sostiene il «ruolo sociale altamente positivo che la finanza assolve. Un ruolo creativo che è stato una leva potente anche per la cultura e la scienza».
Possiamo dire che il ruolo della finanza è positivo o negativo non tanto per la sua essenza, quanto per l'utilizzo che ne fa «l'uomo in quanto soggetto economico».
Dell'uso positivo della finanza si sono occupati diversi studiosi, in particolare dal momento in cui il cosiddetto "Terzo settore" si è affermato come coprotagonista delle politiche sociali e ha visto svilupparsi al suo interno l'esperienza dell'erogazione di servizi attraverso forme imprenditoriali. Servizi rivolti, soprattutto, alle fasce deboli della comunità, sperimentando innovativi modelli d'intervento per la promozione dell'inclusione sociale e coinvolgendo le istituzioni locali in strategie operative basate sul principio della sussidiarietà. La finanza "etica", infatti, è concepita come espressione del motore finanziario a supporto del "no profit" e come promotrice nella diffusione dei valori propri dell'economia sociale di mercato.
La finanza etica propone un vero e proprio approccio alternativo all'idea di finanza tradizionalmente intesa. Com'è noto, quest'ultima concerne gli scambi di capitali tra operatori in deficit che abbisognano di finanziamenti per la propria attività produttiva.
L a tendenza in atto negli ultimi anni, tuttavia, evidenzia come l'economia reale si stia sempre più "finanziarizzando", orientandosi cioè verso il profitto derivante esclusivamente dal trasferimento di capitali da un luogo all'altro del pianeta, senza curarsi degli effetti che il medesimo determina sull'economia reale, rappresentata dalla produzione e dall'occupazione.
La finanza etica, contrariamente, non rifiuta i meccanismi di base della finanza, quali l'intermediazione, la raccolta, il prestito, l'efficienza nelle sue diverse accezioni; tuttavia, si propone di riformularne la gerarchia dei valori di riferimento: la persona prima del capitale, il progetto prima del patrimonio, l'equa remunerazione prima della speculazione. Quindi, oltre al tradizionale rapporto "rischio/rendimento", la finanza cosiddetta "etica" presta attenzione a un'altra variabile costituita dal riflesso che l'attività finanziaria ha sull'economia reale, modificando in senso socio-ambientale gli stessi comportamenti finanziari e, in particolare, ponendosi come obiettivo il finanziamento di tutte quelle attività che si muovono in una prospettiva di sviluppo sostenibile. (...)
Le aspettative dell'opinione pubblica
Le dimensioni mondiali della crisi finanziaria e le conseguenze non soltanto economiche, ma soprattutto sociali che essa sta provocando, hanno innescato forti aspettative da parte dell'opinione pubblica affinché si recuperi una dimensione etica nello svolgimento in concreto dell'attività economica. Le istituzioni politiche hanno cercato, non sempre con la necessaria tempestività, di farsi interpreti della richiesta di una netta inversione di tendenza per ricondurre le dinamiche dell'economia a regole e a principi generali in qualche modo definibili in termini di "morale".
Lo stanziamento d'ingenti risorse finanziarie per il salvataggio di alcune delle banche internazionali più importanti ha dimostrato quanto forte sia stato il mutamento di prospettiva registratosi sul terreno economico e che può riassumersi nel drastico cambiamento nell'equilibrio tra mercato e sfera pubblica.
Negli anni scorsi si è verificata una generalizzata elusione, quando non si è trattato di un vero e proprio rifiuto, delle regole e dei vincoli esistenti; in larghi comparti del sistema economico e finanziario, era maturata la pretesa di poter fare da sé e di dover rispondere solo alle logiche proprie del mercato. Ciò che preoccupa di più è che questa convinzione ha accomunato, oltre che tanti (troppi) operatori economici, le stesse autorità chiamate istituzionalmente a svolgere funzioni di vigilanza (...).
Negli ultimi anni si è adottato, fortunatamente non da tutti gli organismi competenti a livello internazionale, ma purtroppo da alcuni dei più autorevoli, un approccio completamente opposto. (...) A una parziale deregolamentazione si è poi aggiunta la propensione sempre più forte di alcuni operatori economici a inventare continuamente attività e iniziative che sfuggissero a qualunque disciplina, che si muovessero in una sorta di limbo, al di fuori da vincoli e limitazioni.
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