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Idee / Solo l'etica fa da antidoto agli errori della finanza

di Gianfranco Fini

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18 settembre 2009

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A sostenere culturalmente questi atteggiamenti è stata la tesi, nettamente predominante nella dottrina economica, per cui la maturità ormai raggiunta dalla scienza economica giustificava la rivendicazione della piena autonomia delle sue logiche non riconducibili, neanche indirettamente, a principi e criteri più generali, men che mai di carattere morale.

La scienza economica è così diventata una disciplina troppo autoreferenziale, tutta compresa in tecnicismi esasperati e del tutto avulsi dalla realtà concreta. (...) È di tutta evidenza che il rafforzamento dell'autoregolamentazione non è di per sé un elemento negativo a condizione, tuttavia, che negli operatori vi sia la capacità di assumere pienamente le proprie responsabilità e di adottare comportamenti che non siano ispirati a logiche esasperatamente egoistiche e opportunistiche.
Quando ciò non avviene, come l'esperienza recente ha dimostrato, l'attenuazione dei vincoli e dei poteri di regolamentazione e di vigilanza da parte delle autorità pubbliche e l'ampliamento dello spazio di discrezionalità demandato agli operatori economici finisce per ampliare le occasioni per abusi e scorrettezze. Cosa che è puntualmente avvenuta.
Prova ne sia il fatto che anche istituzioni finanziarie prestigiose hanno continuato, contro ogni logica aritmetica, a promettere ai propri clienti rendimenti sempre superiori alla media. È stata solo incompetenza? O, invece, alla radice del deficit etico del capitalismo contemporaneo c'è l'inversione della gerarchia tra politica ed economia, che spesso diviene pura e semplice subordinazione della prima alla seconda? (...)

Per quanto concerne specificamente il settore finanziario, la centralità assunta dall'obiettivo della massimizzazione dei profitti e dalla crescita della redditività ha indotto gli operatori a una spasmodica propensione al rischio e alla creazione incessante di prodotti innovativi sostenuta, in particolare, negli Stati Uniti, da politiche monetarie fortemente espansive. Solo la gravità dell'ultima crisi ha indotto ad avviare una fase di drastico ripensamento delle logiche adottate in precedenza e in parte anche un'autocritica delle tesi sostenute per troppo tempo.
In particolare, è stata rimessa in discussione la sicurezza - diventata una forma di vero e proprio fondamentalismo di mercato - di una crescita continua e apparentemente ininterrotta e sono emerse le preoccupazioni sugli effetti distorsivi che una crescita di quel tipo può produrre soprattutto in termini di equità e di distribuzione del reddito.

Colpiscono, a questo riguardo, le profonde e da tutti condivisibili riflessioni svolte dal Papa nella sua recente Enciclica, Caritas in veritate, in cui affronta a 360 gradi il tema del rapporto tra etica ed economia (...).

La tenuta del modello europeo
In linea generale, i sistemi economici europei, con alcune eccezioni, tra cui la Gran Bretagna, hanno saputo salvaguardare le ragioni che avevano giustificato l'adozione di modelli ad economia mista in cui l'intervento pubblico non costituisce un'eccezione tollerata, bensì un dato strutturale. L'intervento pubblico non è costituito soltanto, come maliziosamente si è fatto credere, dal costo imposto dalla classe politica per la sua "legittimazione", ma anche, e soprattutto, dallo strumento attraverso il quale si cerca di controllare alcune delle dinamiche spontanee del mercato sanzionandone i difetti e le potenziali anomalie, ma anche correggendone sistematicamente talune carenze.
L'intervento pubblico non significa necessariamente partecipazioni statali, ma anche capacità di verificare i comportamenti tenuti dai privati e la loro riconducibilità alle regole che intendono garantire la correttezza e la trasparenza, oltre che l'equo contemperamento dei diversi interessi coinvolti.
Qui si ripropone il valore di quel modello di economia sociale di mercato che rappresenta il frutto più maturo e proficuo dell'evoluzione delle democrazie europee nelle quali il riconoscimento dell'importanza della libera espressione delle potenzialità d'innovazione e di crescita dello spirito imprenditoriale si coniuga con l'attenzione alla tutela dei soggetti più deboli, siano essi lavoratori, risparmiatori o consumatori.

Nella realtà, etica e profitto non sono in contrasto. Dal punto di vista teorico, l'approccio etico al capitalismo può rappresentare la via di soluzione della contrapposizione tra la dottrina del salario "come variabile indipendente" e la dottrina liberista di "salario come livello minimo di sussistenza stabilita dal mercato".

La visione di un capitalismo sorretto da principi etici sembra attualmente la più funzionale al raggiungimento del massimo profitto con il contemporaneo rispetto dei valori umani, e determina la possibilità di realizzare quello che Michael Novak (1933, vivente, filosofo statunitense, teorico dell'economia e studioso di scienze sociali) chiama "capitalismo democratico".
L'etica, infatti, non solo contrasta efficacemente gli aspetti negativi del capitalismo, ma consente uno sviluppo più armonico dell'economia, combattendo la dissipazione di risorse dovuta a fenomeni di corruzione e consentendo una giusta competizione globale. Per quanto riguarda l'Italia, costituisce un elemento confortante il fatto che il nostro sistema bancario sia risultato comparativamente meno esposto ai rischi sistemici che, invece, hanno travolto alcune delle banche più importanti a livello internazionale.

  CONTINUA ...»

18 settembre 2009
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