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Gli effetti salutari della televisione si estendono ben oltre la riproduzione e l'eguaglianza tra uomini e donne. I bambini che guardano la tv fuori dall'orario scolastico - come ha appurato un sondaggio della Banca mondiale condotto tra i giovani delle baraccopoli di Fortaleza in Brasile - hanno molte meno probabilità degli altri giovani di fare consumo di stupefacenti (oppure di rimanere incinte se femmine). Il potere della tv di ridurre il consumo di stupefacenti è due volte superiore a quello di avere una madre relativamente istruita.
In sintesi, potremmo affermare che la tv è fonte d'istruzione e che questa, invece d'essere in contrasto con quella ufficiale impartita a scuola, può - come non suggeriscono anni di rimproveri dei genitori - perfino migliorarla.
È tuttavia palese che la televisione presenta anche qualche svantaggio ed è responsabile in parte della triste situazione dal punto di vista dell'educazione civica. Una migliore ricezione delle trasmissioni televisive nei villaggi di Giava in Indonesia - come ha documentato una ricerca di Ben Olken - è stata accompagnata da livelli sostanzialmente inferiori di partecipazione alle attività sociali e da una minore fiducia negli altri. I paesini e i villaggi che hanno accesso a un canale televisivo in più evidenziano un calo del 7% nel numero dei gruppi sociali. Analoghi risultati sono stati riscontrati negli Usa.
Che dire dell'impatto della tv in senso lato sulla governance? Qui ciò che sembra avere il suo peso è il livello di competitività, un segnale di speranza, se si tiene conto che il futuro della tv globale verosimilmente diverrà sempre più competitivo. Se l'unico canale che gli spettatori seguono è di parte nella sua copertura degli avvenimenti, non deve stupire che è molto verosimile che il pubblico si sposti verso quel tipo di mentalità. Il canale brasiliano Globo, malgrado tutta l'influenza positiva che ha avuto sul tasso di fertilità, ha rivestito un ruolo nettamente meno positivo in termini di copertura oggettiva degli avvenimenti. Ha intrattenuto un rapporto duraturo molto stretto con il governo, così come una quota di mercato dominante. Nelle elezioni brasiliane del 1989 - una consultazione politica nella quale Globo si schierò senza indugi per il candidato alla presidenza di destra Fernando Collor de Mello - la differenza tra chi non aveva mai guardato la tv e chi la guardava frequentemente si concretizzò in un aumento di 13 punti percentuali nelle probabilità di voto a favore di Collor, come ha riscontrato lo studioso Taylor Boas. Ma oggi che i canali proliferano pressoché ovunque, chi controlla le tv potrebbe avere molto meno potere nell'influire sulle elezioni. Negli Usa, dove la scelta dei programmi da seguire in tv di certo non manca, non vi è alcuna semplice correlazione tra le ore di televisione e una certa propensione al voto, anche se coloro che seguono canali particolari hanno maggiori probabilità di votare per il partito repubblicano o il democratico.
I ricercatori che studiano la violenza in tv si danno strenua battaglia tra di loro per decidere se quella violenza si traduca o meno in comportamenti più aggressivi nella vita reale. Da una prospettiva più ampia, in ogni caso, la tv risulta poter rivestire un ruolo determinante nel contenere la minaccia globale della guerra. Non che la copertura televisiva di stragi e devastazioni necessariamente riduca il sostegno alle guerre già iniziate: questo è un argomento che infuria sui conflitti dai tempi della guerra in Vietnam e fino alla guerra in Iraq. La verità è che alimentando un crescente senso di appartenenza cosmopolita al globo, la televisione potrebbe tanto per cominciare rendere la guerra meno attraente.
L'impressionante reazione dei telespettatori di tutto il mondo alle immagini delle carestie in Etiopia o dello tsunami in Asia dimostrano anche come la tv sia una forza estremamente potente per ridurre la distanza emotiva tra i popoli nell'ambito di uno stesso paese o più. Secondo le ricerche del William Davidson Institute, negli Usa, ogni minuto in più di copertura in prima serata degli avvenimenti legati allo tsunami in Asia ha aumentato del 13% il livello delle offerte e degli aiuti umanitari. Naturalmente, la misura in cui la tv contribuisce ad alimentare il cosmopolitismo dipende da ciò che la gente guarda. In Medio Oriente, le persone che seguono soltanto i canali d'informazione arabi hanno molte meno probabilità di ritenere che gli attentati dell'11 settembre siano stati perpetrati dai terroristi arabi di coloro che seguono i media occidentali. Similmente, il tono e il contenuto della copertura dell'invasione dell'Iraq sono stati molto diversi su Al Jazeera rispetto alle trasmissioni mandate in onda nella primavera del 2003 dalle tv americane e britanniche, e sicuramente ciò ha contribuito a forgiare attitudini quanto mai diverse nei confronti della guerra. Ma con la Bbc World News e la Cnn che diffondono le proprie trasmissioni in aree sempre più estese, e con Al Jazeera che si va allargando nelle sue trasmissioni anche in Occidente, quanto meno esiste una possibilità sempre maggiore di comprendere ciò che pensa la controparte.
Solo perché le soap opera e i reality show possono contribuire a risolvere i problemi concreti, ciò non significa che i politici dovrebbero abbracciare la televisione come il loro avamposto politico preferito. Ci sono ovviamente alcune cose che i governi potrebbero fare per imbrigliare il potere politico una volta per tutte, quali dare il loro sostegno a campagne pubblicitarie di servizio pubblico ben congegnate. Ma per la maggior parte dei casi, i politici dovrebbero prestare meno attenzione alla tv e non di più. Non dovrebbero limitare il numero dei canali o interferire con i notiziari. Un mercato televisivo dinamico e competitivo che trasmette Days of Our Lives o Días de Nuestras Vidas a ciclo continuo potrebbe avere un impatto superiore perfino ai programmi educativi meglio concepiti. La concorrenza, insomma è d'importanza cruciale per garantire che la tv informi gli elettori, non che li indottrini.
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