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Gli Stati Uniti restano divisi

di Carlo Bastasin

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23 Marzo 2010

Per cogliere l'importanza della riforma della sanità americana non bisogna distrarsi dal suo senso più semplice e profondo: il senso di solidarietà in una società pur colpita dalla crisi.
Immaginate cinque persone dentro una stanza e una sesta fuori dalla porta. Ognuna delle cinque persone in caso di malattia può contare su una costosa assicurazione sanitaria. Il sesto non ha difese dalla malattia. È più povero. Spesso non ha un lavoro. È il genere di individuo che vive ai margini della società, quasi sempre fa parte di una minoranza etnica. Uguaglianza delle opportunità è una frase incomprensibile per lui. Non vota, è di fatto invisibile anche quando muore per non essersi potuto curare, come accade a 18mila americani ogni anno.
Le cinque persone devono decidere se pagare ognuna in media una cifra non trascurabile, 40 dollari al mese in più, per consentire all'uomo fuori dalla porta di usufruire di ciò che in tutti i paesi avanzati è considerato non un privilegio, ma un diritto proprio di ogni essere umano: il diritto a difendere la dignità della propria vita al riparo della malattia. Ognuno di loro preso individualmente accetterebbe. Ma nel gioco della politica quotidiana questa decisione si presenta in una forma molto diversa: come una scelta tra uno svantaggio di molti, oltre 200 milioni di elettori, e un beneficio per una netta minoranza, 30-40 milioni di persone. Se la politica diventa una somma tra costi e benefici individuali, finisce la ragione di aiutare la sesta persona. E così stava succedendo.
Mese dopo mese, il consenso dei cittadini americani per la riforma del presidente Obama è stato corroso dallo scontro tra democratici e repubblicani. Una serie di temi ha occultato di volta in volta la scelta fondamentale sull'universalità dei diritti: il ruolo del governo, gli abusi delle compagnie di assicurazione, la copertura delle spese sanitarie per l'aborto. Di questi uno è destinato a diventare il banco di prova dell'Amministrazione negli anni a venire e il metro per misurare il successo della stessa riforma sanitaria: l'enorme aumento del debito pubblico.
Per far approvare la riforma in una nuova accezione di solidarietà sarebbe stata necessaria una campagna politica sugli ideali. Ma questa campagna ideale non è mai decollata. Giovane, nero, ispirato, Barack Obama era certamente il presidente perfetto per un tale compito. Ma il suo potere trasformativo è impallidito giorno dopo giorno nel circuito informazione-lobby-politica. Non c'è colpo basso, né trucco da angiporto, che promotori e oppositori abbiano evitato lungo quattordici inesauribili mesi. Nessun ricatto è stato risparmiato e nessuna falsificazione, in un quotidiano mercato dei voti che ha disgustato gli americani.
Il voto di domenica ha interrotto l'agonia e riportato la trama del presidente sull'arcolaio della storia. Nonostante un sistema politico che sembrava disfunzionale, il Congresso ha votato, per il cambiamento, una riforma che attendeva dai tempi di Harry Truman. La nuova legge dà copertura sanitaria al 95% degli americani e aumenta le difese dei pazienti dalle pratiche delle assicurazioni che potevano negare i rimborsi con pratiche abusive. Riduce i costi delle polizze per i lavoratori autonomi e le piccole imprese che ora possono assicurarsi in pool e mettere a confronto l'offerta delle mutue. Obama comincerà a girare il paese da subito convinto di poter spiegare i vantaggi a cittadini frastornati dalla propaganda. La legge anticipa i vantaggi e rinvia astutamente le incognite sui costi per il bilancio pubblico. L'amministrazione è così convinta di poter invertire il declino dei sondaggi prima delle elezioni di mid-term a novembre. Nei think-tank di Washington, attorno a Massachusetts Avenue, si continua a credere a un presidente che durerà altri sei anni.
Ma tutto dipenderà dai risultati che otterrà nel rilancio dell'economia e nel controllo dei conti. Il paese è oggi più diviso che un anno fa, non era mai successo che una riforma importante fosse approvata senza un solo voto dell'opposizione. La Corte Suprema sarà chiamata a valutare alcuni non trascurabili aspetti di costituzionalità e ancora a lungo i costi della riforma, le tasse e i tagli del Medicare saranno quotidianamente in agguato nel confronto politico. Venerdì scorso una delle maggiori imprese americane, Caterpillar, ha denunciato che la riforma graverà il primo anno per 100 milioni di dollari sulle casse della società. Se le stime del Congressional Budget Office, che vede risparmi grazie alla riforma per 143 miliardi di dollari nel deficit federale entro il 2019 (e di mille miliardi nel decennio successivo), non saranno confermate, la riforma della sanità aprirà la strada a un nuovo scontro ideologico sul ruolo eccessivo del governo e sul peso del debito, in cui il vantaggio passerà ai repubblicani.
Non c'è bisogno di "sociologia fiscale" (come diceva Joseph Schumpeter) per collegare la reazione degli americani alla riforma della sanità con la loro preoccupazione per l'eccesso di debito. Le incognite della riforma intervengono infatti su una situazione finanziaria molto degradata. Con le recenti misure di stimolo, il disavanzo federale a febbraio ha toccato un nuovo record (221 miliardi di dollari), facendo prevedere che il deficit annuale del 2010, alla chiusura di bilancio di settembre, supererà i 1.400 miliardi previsti. L'Ocse ha aumentato la stima del disavanzo anche per il 2011, a quasi il 10% del Pil. Tra i paesi ad economia avanzata, gli Stati Uniti saranno quindi quello con il deficit maggiore dopo la Gran Bretagna. Obama ha disperato bisogno di riaccendere i motori della crescita economica.
  CONTINUA ...»

23 Marzo 2010
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