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Perché anche il XXI secolo andrà a petrolio

di Daniel Yergin

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27 agosto 2009

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Non una minaccia:operai cinesi in un cantiere in Africa

Il petrolio non è nemmeno la questione energetica principale nei rapporti fra le due sponde del Pacifico: è il carbone. Gli Stati Uniti e la Cina possiedono le maggiori riserve di carbone del pianeta e ne sono i maggiori consumatori. In un mondo vincolato dalla necessità di tagliare le emissioni, hanno un interesse comune a trovare soluzioni tecnologiche per contenere le emissioni derivanti dalla combustione del carbone.

E questo ci conduce direttamente alla seconda caratteristica distintiva della nuova era del petrolio: i cambiamenti climatici. Il riscaldamento globale era un problema all’ordine del giorno già ai tempi della prima edizione de Il premio. Fu nel lontano 1992 che 154 Paesi firmarono la Convenzione di Rio, impegnandosi a ridurre drasticamente le concentrazioni di anidride carbonica nell’atmosfera. Ma solo negli ultimi anni i cambiamenti climatici hanno acquistato veramente slancio come tema politico (in Europa all’inizio di questo decennio, negli Stati Uniti verso il 2005). Qualunque sarà l’esito della conferenza sui cambiamenti climatici convocata per dicembre dall’Onu a Copenaghen, la regolamentazione delle emissioni ormai è parte del futuro del petrolio. E questo significa una spinta costante alla riduzione della domanda di greggio.

Come si fa a ottenere un risultato di questo genere? Come può il mondo rispondere contemporaneamente alla sfida dei cambiamenti climatici e a quella della crescita economica, con un’espansione costante nei Paesi industriali e una crescita più sostenuta in Cina, in India e in altri mercati emergenti, quando decine di milioni di cittadini di questi Paesi usciranno dalla povertà e cominceranno a comprare elettrodomestici e automobili?

La risposta dovrà venire da un’altra trasformazione decisiva, un’enfasi sulla tecnologia a livelli mai visti prima. Il business energetico è sempre stato un business tecnologico. Dopo tutto, gli uomini che nel 1859, esattamente 150 anni fa, escogitarono come trivellare quel primo pozzo petrolifero (il colonnello Drake e i suoi investitori di New Haven, Connecticut) oggi verrebbero descritti come un gruppo di imprenditori tecnologici e capitalisti di ventura dagli effetti dirompenti. Più di una volta, nelle mie ricerche sulla storia del petrolio, sono rimasto colpito dal modo in cui il progresso tecnologico riesce a superare, spesso inaspettatamente, barriere e ostacoli tecnologici apparentemente insormontabili.

Ma la rilevanza attribuita oggi alla tecnologia – in tutto il settore dell’energia – è di un’intensità che non ha precedenti. A metà degli anni 90 ho presieduto una task force per conto del Dipartimento dell’energia del Governo degli Stati Uniti su «strategia della ricerca e sviluppo nel settore dell’energia». Lavorammo molto intensamente per un anno e mezzo per produrre un rapporto che ricevette grande apprezzamento da più parti. Ma a quel rapporto seguì poco, in termini di misure prese. La Guerra del Golfo era finita e il problema dell’energia sembrava fosse stato «risolto».

Oggi, al contrario, l’interesse per le tecnologie energetiche è smisurato. E verrà ulteriormente incoraggiato dai forti incrementi futuri del supporto pubblico alla ricerca in campo energetico. Gran parte di queste spese e di questi sforzi sono finalizzati a trovare alternative al petrolio. Eppure la sfida non è semplicemente trovare alternative: è trovare alternative che possano essere competitive su larga scala, com’è necessario.

Quali saranno queste alternative? L’auto elettrica, che è l’argomento oggi più d’attualità? I biocombustibili avanzati? I sistemi solari? Nuovi metodi di costruzione? Grossi investimenti sull’energia eolica? La rete intelligente, in via di evoluzione, per integrare le auto elettriche all’industria dell’elettricità? Qualcos’altro di cui al momento non si sa nulla o quasi? O forse una rivoluzione del motore a combustione interna, per renderlo due o tre volte più efficiente rispetto a quelli attuali?

Possiamo fare alcune ipotesi ragionevoli. Ma per dire la verità non lo sappiamo, e lo sapremo solo quando lo sapremo. Per il momento, è evidente che il forte incremento del sostegno all’innovazione, insieme a consistenti incentivi e sussidi pubblici, darà inevitabilmente una spinta al cambiamento tecnologico, ridisegnando la così la curva della domanda futura per il petrolio.

Le sorprese maggiori potrebbero venire dal versante della domanda, tramite la difesa dell’ambiente e l’incremento del risparmio energetico. Gli Stati Uniti sono due volte più efficienti, quanto a impiego dell’energia, di com’erano negli anni 70. Forse assisteremo a un altro raddoppiamento. Di sicuro il risparmio energetico non ha mai goduto di tanta attenzione e sostegno come oggi.

Solo perché siamo entrati in questa nuova era di cambiamenti velocissimi non significa che questa storia sia la storia dell’imminente fine del petrolio. Pensate alla «teoria del picco», cioè alla presunzione che il mondo abbia raggiunto il tetto massimo della produzione di petrolio e che tale produzione sia destinata a diminuire. Storicamente, le tesi sul picco ottengono attenzione nei periodi di mercato rigido e ascesa dei prezzi, sollevando timori di una carenza permanente. Nel 2007 e nel 2008, le convinzioni legate alla teoria del picco hanno contribuito a spingere i prezzi fino a 147,27 dollari al barile. (In realtà era la quinta volta che il mondo credeva di aver «esaurito» il petrolio. Il primo caso fu negli anni 80 dell’Ottocento; l’ultimo caso prima del record di cui sopra è stato quello degli anni 70.)

  CONTINUA ...»

27 agosto 2009
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