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Tuttavia, esaminando attentamente la situazione delle risorse naturali nel mondo – inclusa l’analisi, condotta dalla mia società, di oltre 800 fra i maggiori giacimenti petroliferi mondiali – indica che la dotazione di risorse del pianeta è sufficiente per tenere il passo della domanda ancora per decenni. Questo ovviamente non significa che il petrolio arriverà effettivamente ai consumatori. Possono insorgere una quantità di rischi e intoppi, dai Governi che limitano l’accesso, ai sistemi fiscali, ai conflitti civili, alla geopolitica, ai costi crescenti dell’esplorazione e della produzione, alle incertezze sulla domanda. Com’è successo per decenni e decenni, il mutamento delle relazioni fra Paesi produttori e Paesi consumatori, fra compagnie petrolifere tradizionali e compagnie petrolifere di proprietà pubblica, contribuirà in larga misura a decidere quali risorse saranno sviluppate e quando, e di conseguenza a definire il futuro del settore.
Ci sono altri due distinguo da fare. Molti dei nuovi progetti saranno più grandi, più complessi e più costosi. Negli anni 90, un «megaprogetto» poteva costare fra i 500 milioni e il miliardo di dollari. Oggi la cifra si aggira più facilmente fra i 5 e i 10 miliardi di dollari. E una parte sempre più consistente del petrolio nuovo arriverà sotto la forma del cosiddetto «petrolio non convenzionale», quello estratto dalle profondità sottomarine estreme, quello estratto dalle sabbie bituminose canadesi, i liquidi prodotti a partire dal gas naturale.
Ma attraverso tutti questi cambiamenti una costante del mercato petrolifero è il suo non essere costante. L’equilibrio mutevole fra domanda e offerta, determinato da fattori economici, politici, tecnologici, dal gusto dei consumatori e da ogni sorta di casualità – continuerà a muovere i prezzi. La ripresa economica, le aspettative in tal senso, la domanda repressa di «domanda», la trasformazione del petrolio in «asset finanziario»: una combinazione di questi fattori potrebbe certamente tornare a far salire i prezzi del petrolio, anche con l’attuale eccedenza del mercato. Ma un’altra costante del petrolio è la ricerca di stabilità, come nella reazione al contesto di espansione-depressione della Pennsylvania nordoccidentale verso la fine del XIX secolo, al contesto dei 10 centesimi al barile del petrolio texano negli anni 30 o al picco di 147,27 dollari al barile del West Texas Intermediate nel luglio del 2008.
Indubbiamente l’ottovolante dei prezzi del petrolio negli ultimi due anni, mentre cresceva l’integrazione fra mercato petrolifero e mercato finanziario, ha messo la volatilità al centro delle preoccupazioni per quei politici che non vogliono vedere le loro economie andare su e giù in parallelo con le enormi oscillazioni dei prezzi. Ma senza la flessibilità e la liquidità dei mercati non esiste nessun metodo efficace per equilibrare domanda e offerta, nessun modo per cautelarsi dai rischi per consumatori e produttori. E nemmeno esiste un modo per inviare segnali a questi consumatori e produttori su quanto petrolio usare e quanto denaro investire, o segnali agli aspiranti innovatori sulle opportunità future.
Una parte della soluzione sta non soltanto nel potenziare la già consistente regolamentazione dei mercati finanziari su cui viene scambiato il petrolio, ma anche nell’introdurre una maggiore trasparenza e una migliore comprensione degli attori in gioco nei mercati petroliferi finanziari in rapida espansione. Ma i cambiamenti normativi non possono eliminare i cicli economici o annullare le leggi della domanda e dell’offerta nel più grande mercato organizzato di una materia prima che ci sia mondo. Questi cicli non sono granché evidenti camminando fra le placide cisterne e le dolci colline di Cushing. Ma sono indiscutibilmente parte del panorama globale del nuovo mondo del petrolio.
Daniel Yergin ha ricevuto un premio Pulitzer per Il premio (Sperling & Kupfer 1991), pubblicato quest’anno in un’edizione aggiornata. È presidente della Ihs Cambridge Energy Research Associates.
(Traduzione di Fabio Galimberti)