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Realpolitik? Le mie «istruzioni per l'uso»

di Paul Wolfowitz

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29 agosto 2009

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4) L'America non può imporre i suoi valori agli altri

Suona familiare. E ora lo sentiamo applicare al mondo arabo. Quando Reagan e il segretario di stato George Schulz premevano per l'adozione di riforme democratiche in Corea del Sud, molti esperti di cose coreane avvisavano che quella nazione non aveva mai conosciuto una democrazia e non era pronta per averne una. All'epoca i realisti citavano il concetto dei "valori asiatici", sostenendo che gli asiatici erano intrinsecamente differenti e che preferivano l'autocrazia alla democrazia. Ora che sentiamo affermazioni simili riguardo al mondo arabo, è utile ricordare che gli Stati Uniti sono riusciti a premere per le riforme nelle Filippine, e alla fine per una transizione pacifica alla democrazia, senza "imporre" i loro valori.

Non è raro sentire i realisti odierni sostenere che i musulmani in realtà non vogliono il sostegno Usa alla democrazia, specialmente dopo la guerra in Iraq. Eppure, quando Obama ha annunciato, durante il suo importante discorso all'Università del Cairo, che avrebbe affrontato il problema della democrazia, il pubblico ha applaudito prima che potesse dire un'altra parola. I suoi tre brevi capoversi sulla democrazia sono stati interrotti altre due volte dagli applausi, e poi qualcuno ha gridato «Barack Obama, we love you!», strappando ancora un altro applauso. Il presidente ha parlato di «controversie» riguardo alla promozione della democrazia, ma il suo pubblico arabo ha accolto entusiasticamente questo argomento "controverso". Il fatto che un pubblico numeroso, nel cuore del mondo arabo, sia tanto felice di sentire il presidente americano farsi paladino della democrazia è un fatto importante, che qualunque politica estera realistica non può non tenere in conto. La tentazione dell'amministrazione Obama di prendere le distanze dalle politiche del suo predecessore è comprensibile, ma questo non deve significare rinunciare a promuovere le riforme democratiche.

5) La promozione della democrazia è pericolosamente destabilizzante

Non necessariamente. Le elezioni, anche quando falliscono, possono rappresentare un catalizzatore positivo per il cambiamento negli stati autocratici, come abbiamo visto nel caso di Marcos e durante i fatti recenti in Iran. È vero che le elezioni non sono il rimedio per tutti i mali: Bush e i suoi collaboratori erano frustrati quando gruppi terroristici come Hamas e Hezbollah hanno conquistato il potere attraverso le urne. Le elezioni di per sé non producono automaticamente le istituzioni necessarie per difendere la libertà e incoraggiare la tolleranza. Ma se promuovere riforme democratiche comporta un rischio, c'è un rischio anche nel non fare niente. Se la gente vede che gli Stati Uniti sono acquiescenti con i loro oppressori, la reputazione americana ne esce danneggiata.

Per promuovere le riforme è importante tenere a mente l'ammonimento a "non fare danni". Il crollo del regime dello Scià in Iran portò a qualcosa di peggio per gli iraniani e per gli interessi americani. Dunque, nel mondo arabo, gli Stati Uniti devono trovare la rotta giusta fra due pericoli: da un lato il rischio che gli estremisti sfruttino le opportunità offerte da una società più aperta, e dall'altro il rischio che il sostegno americano ai dittatori arabi generi ostilità nei confronti dell'America. Per decenni, le amministrazioni che si sono succedute a Washington nel mondo arabo hanno privilegiato la stabilità rispetto alla democrazia. Il risultato lo abbiamo sotto gli occhi: una stabilità superficiale che ha incoraggiato la crescita dell'estremismo, del terrorismo e dell'antiamericanismo. Quando tutta l'opposizione viene soppressa, le forze del cambiamento entrano in clandestinità, ed è qui che prospera il radicalismo. Incarcerare un riformista democratico come Ayman Nour in Egitto non è un modo per combattere l'estremismo.

L'obbiettivo non dev'essere la rivoluzione, ma il cambiamento rivoluzionario. Questa è l'occasione migliore per un'autentica stabilità sul lungo termine. Soprattutto quando si aprono occasioni per riforme autentiche, come sta succedendo adesso non soltanto in Iraq e in Libano, ma anche in Marocco e in altri paesi, gli Stati Uniti dovrebbero offrire ai riformatori tutto il supporto possibile. Ovviamente gli Stati Uniti dovranno fare affidamento su qualche autocrate arabo per contribuire a promuovere una soluzione pacifica del conflitto arabo-israeliano (conflitto che rappresenta un'altra fonte di antiamericanismo, forse perfino maggiore).

6) «Paul Wolfowitz è un utopista»

No, sono soltanto realistico. Mi hanno chiamato in tanti modi, e "utopista" non è certo il peggiore fra questi. L'ironia è che mentre la parola "utopia" in greco significa «in nessun luogo», ovunque ti volti, in pratica, trovi gente che condivide la fede nella democrazia. Nell'Europa orientale, la Cortina di ferro non è più in piedi perché i veri realisti - "realisti democratici" - hanno affrontato la vera natura della minaccia sovietica. In tutta l'Asia centinaia di milioni di persone vivono sotto governi liberi in luoghi dove appena settant'anni fa non ne esisteva nessuno. In Africa, un governo responsabile è sempre più spesso visto come l'elemento chiave per una governance migliore e dunque per il progresso economico. E in America Latina la risposta al pericolo di dittature populistiche non è un ritorno ai dittatori di destra, ma il sostegno alle istituzioni della democrazia liberale.

  CONTINUA ...»

29 agosto 2009
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