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EXIT STRATEGY / Tra Berlino e Atene è in gioco l'euro

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29 Aprile 2010

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Per quanto riguarda le prospettive, vanno considerati due aspetti: la disponibilità della stessa Grecia e la capacità di guardare oltre della Germania. Atene deve mettere in preventivo nei prossimi anni una politica di lacrime e sangue, con un aggiustamento pari all'8% del Pil (come se in Italia parlassimo di 120 miliardi di euro). La situazione non avrà soluzione senza il supporto finanziario della Germania: oggi la Grecia è fuori dal mercato dei capitali e va riportata entro questo spazio perché con le proprie forze non è in grado di farlo. Serve il sostegno della Ue e del Fondo monetario. Certo, se il paese più grande dell'Unione è così reticente e non dà un segnale forte, di impegno concreto, come sperare in un deciso cambio per i conti della Grecia?

Mario Deaglio
Università di Torino

La Grecia ha mentito e tutti lo sapevano
È innanzitutto accaduto che i governanti greci hanno detto il falso sui conti pubblici. I leader europei ne erano al corrente fin dal 2004, quando fu varato il trattato sulla Costituzione europea. Allora si chiuse un occhio e in questo vi fu una precisa responsabilità della Germania, le cui banche erano già fortemente esposte verso quel sistema paese. Oggi si rischia di pagare tutti il conto, ed è strano che sia Berlino l'ago della bilancia. Il tasso del 5% al prestito ponte varato dalla Ue - per alcuni osservatori fin troppo alto - è il risultato di una mediazione tutta interna al sistema tedesco: non troppo basso per non scontentare il popolo tedesco, né troppo alto per non strozzare le finanze greche. Un compromesso che ha finito per scontentare tutti.
È anche accaduto che le agenzie di rating hanno sparso benzina sul fuoco. I giudizi dati in questi giorni sul debito greco e portoghese hanno alimentato la speculazione dei mercati. Occorrerebbe riflettere seriamente sull'indipendenza di questi organismi.

È prevedibile che i vuoti d'aria proseguano fino al 9 maggio, data delle elezioni del land Nord Reno-Westfalia. Passata questa boa, la Germania cambierà atteggiamento, il prestito ponte sarà erogato in tempo e in modi utili a rifinanziare i titoli greci in scadenza il 19 maggio e la situazione tenderà a normalizzarsi. Di certo questa crisi ci lascerà un'altra eredità, già prefigurata dall'ultima asta - un po' "scarsa" - di bot semestrali italiani: sarà più difficile finanziare il debito pubblico un po' di tutti i paesi. Ancor più perché è prevedibile una risalita dei tassi delle banche centrali e dell'inflazione.

Giorgio Squinzi
Amministratore unico Mapei

Anche il rating ha fatto la sua parte
Negli ultimi anni paesi come Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità. L'origine della crisi va, quindi, ricondotta a una gestione poco attenta delle risorse pubbliche e alla mancanza di riforme dello stato sociale. Tutto questo ha provocato una escalation del deficit pubblico. La Grecia, ma anche gli altri paesi sotto osservazione, hanno cercato di realizzare un salto del sistema economico e sociale in un tempo troppo rapido rispetto ai propri mezzi. Ma la crisi reale è stata amplificata dalle agenzie internazionali di rating con valutazioni sproporzionate rispetto all'impatto della situazione. Mi chiedo come sia possibile che nel giro di pochi mesi vengano cambiati i giudizi sui singoli paesi in maniera così radicale.

Due sono le operazioni da fare per accelerare l'uscita dalla crisi. Innanzitutto l'Unione europea si deve stringere intorno ai paesi in difficoltà e intervenire in maniera determinata sia per salvare la Grecia sia per evitare la diffusione del contagio, in particolare alla Spagna. Sarebbe, infatti, una catastrofe se fosse coinvolta anche perché il combinato tra il deficit pubblico e quello commerciale di Madrid è il peggiore nel mondo. La seconda iniziativa va inquadrata in un'operazione-fiducia; bisogna continuare a investire in questi paesi perché ci sono tutte le possibilità per lasciare alle spalle un periodo difficile, risanare i conti e rilanciare l'economia. Per quanto mi riguarda io ho già portato il mio contributo: due settimane fa ho aperto uno stabilimento a 70 chilometri da Atene con un investimento, programmato due anni fa, di 15 milioni. Sono convinto che la Grecia possa farcela; un contributo arriverà non solo dal turismo ma anche dal manifatturiero e, in particolare, dall'export alimentare.

Franco Bruni
Università Bocconi di Milano

Devono pagare anche i creditori imprudenti
Troppo a lungo i conti della Grecia sono stati trascurati: da anni Atene inviava a Bruxelles dati che nessuno verificava, e siamo arrivati a questi livelli. Ora bisogna agire: il piano richiesto ad Atene per il rientro rischia di essere troppo violento nei tempi e nelle cifre. Rischia di non essere sopportabile né a livello economico né sul piano politico, tanto che perfino i mercati si sono dimostrati scettici. Alla Grecia bisogna concedere un tempo maggiore: non tre ma sei anni, a patto però che siano effettuati controlli severi. Una sorta di do ut des: più tempo ad Atene in cambio di un coordinamento da parte della Commissione sulle decisioni greche. Serve maggiore sicurezza e invasività.

  CONTINUA ...»

29 Aprile 2010
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