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I MERIDIANI SUL GIORNALISMO / GLI ARTICOLI DEL SOLE 24 ORE
Parole disegnate sull'acqua

di Giuseppe Pontiggia

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4 GENNAIO 1998

L'album di Dicembre - Un invito a dubitare delle troppe certezze veicolate da vecchi e nuovi mezzi di comunicazione

9 dicembre
Non navigo ancora su Internet. Uso l'avverbio ancora perche', preceduto da non, e' quello piu' usato quando si allude a un futuro che non verra' mai oppure verra' domani. Per me sono valide tutte e due le ipotesi. E' un problema di tempo, di pigrizia e di desiderio.
Chiaro che se il desiderio fosse irresistibile, le prime due parole scomparirebbero. Ne sappiamo tutti qualcosa in altri campi. Ma non intendo avanzare riserve su Internet. E' un mezzo soltanto all'inizio del suo impiego, che avra' probabilmente uno sviluppo prodigioso.
Inoltre non vorrei cadere nella trappola patetica che aspetta i moralisti con l'esca delle invenzioni tecnologiche.
I letterati - con le meritorie eccezioni, tra cui i futuristi - accolgono spesso con insofferenza, se non con sarcasmo e disprezzo, il progresso tecnico, dal cinema alla televisione (e ricordo le polemiche interminabili sul colore, mentre si trattava e si tratta solo di una scelta), dall'automobile al computer. Scrivono l'elogio del pennino quando compare la macchina da scrivere e l'elogio delle vecchia Olivetti quando compare il Macintosh. Non mancano motivazioni nobilmente umane. Comunque non vorrei essere dileggiato da una mia controfigura del terzo millennio (fra due anni), per avere ceduto allo stesso vezzo.
Mi ha colpito pero' l'espressione, laconica e precisa, di un espertoquale Piattelli Palmarini, quando accenna alla 'invasione di scemenze' che minaccia il navigatore di Internet. Penso che si possa imparare da tutti, perche', come Churchill ha osservato, una delle grandi lezioni della Storia e' che spesso gli imbecilli hannoragione. Ma credo anche in quella enciclopedia universale della stupidita' che e' lo Sciocchezzaio di Flaubert, destinato a essere continuamente aggiornato e ampliato, anche su Internet. Quello che mi sconcertava, ai tempi della Rivoluzione cinese, era che i miei amici credessero non a una Rivoluzione dello Stato, ma a una Rivoluzione degli Uomini: milioni di esseri che diventavano improvvisamente poliedrici e altruisti, tranne una minoranza di riottosi da educare.
La mia incredulita' appariva un pregiudizio cinico di fronte al loro entusiasmo per una realta' che non conoscevano. Ora la difendono come un sogno collettivo e io continuo ad apparire legato a un pregiudizio atavico. Sono in effetti vittima di pregiudizi atavici.
Non vorrei analoghi fraintendimenti per Internet. Ho gia' chiarito i limiti della mia navigazione. Che non e' intorno a Internet e al suo destino remoto (le previsioni dei futurologi sono il divertimento dei posteri), ma intorno a certe immagini della realta' virtuale. Mi incuriosisce la cultura che le propone e le esalta.
Ho trascritto un campionario di frasi ricorrenti e le riporto nel disordine coerente in cui si sono affollate: «Immersione completa nel ciberspazio». «Creare un mondo nel quale potersi perdere». «Visitare mondi che in realta' non esistono». «Creare la vita artificiale».
«Rimanere chiusi in una stanza senza riuscire a trovare una via d'uscita».
Direi che da questi frammenti tutto emerge fuorche' il desiderio di restare. E questo e' condivisibile. Pero' il viaggio ha modalita' e mete diverse rispetto a quelle cui ci ha orientato finora la cultura.
Non ha anzitutto una meta a cui arrivare, anzi la meta e' perdersi.
Dante si perde nella selva oscura, ma e' il luogo in cui si ritrova, nel senso duplice che si ridesta e che ritrova se stesso. No, qui ci si perde e basta. Non si tratta pero' della ebbrezza del naufragio («e il naufragar m'e' dolce in questo mare»), che e' una esperienza centrale nell'orizzonte esistenziale moderno, da Leopardi a Heidegger. E' il rovesciamento di un mondo (il nostro, in cui perdersi provoca angoscia) in un mondo in cui perdersi provoca felicita'. Ma solo perche' il vuoto lo creiamo noi.
I viaggi di scoperta, fatti, come quello dell'Ulisse dantesco, «per seguir virtute e conoscenza», sono sostituiti da visite a «mondi che in realta' non esistono». Il sogno prometeico e faustiano di creare la vita si vetrifica in un laboratorio di vita artificiale. Quanto alla volutta' claustrofobica di rimanere chiusi in una stanza, senza possibilita' di uscita, e' l'allegoria sinistra di una condizione permanente: la gioia del terrore provato temporaneamente nelle favole ignora qui il punto di liberazione e conosce solo l'interruzione del pulsante.
Il viaggio celebrato da questa cultura non e' quello iniziatico, che schiude al coraggio l'ascesa a una cerchia superiore, ne' quello mistico, che intuisce il divino attraverso l'estasi, ne' quello allucinatorio, che sperimenta con le droghe le vertigini della mente.
Il mondo che esplora non e' quello della realta' ne' quello della immaginazione, ma quello che viene inventato da una macchina. E l'evasione che offre non e' in un mondo alternativo al nostro. Il paesaggio selvaggio della foresta medioevale rappresentava ad esempio il miraggio di un mondo naturale e originario, libero dai soprusi e dalle schiavitu' che opprimevano il nostro. Ma il paesaggio virtuale - almeno nei modelli che vengono piu' spesso proposti - ci apre l'accesso a un mondo inesistente e ne fa il pregio principale. E non viene neppure ridotto a un innocuo passatempo, anche se la filosofia non ha mai considerato innocuo fare passare piu' rapidamente il tempo, l'unico bene che e' nostro. Su questo concordano antichi e moderni, da Seneca a Heidegger.
  CONTINUA ...»

4 GENNAIO 1998
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