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Il primo discorso del 44° presidente

traduzione di Fabio Galimberti

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Miei cari concittadini, sono qui oggi, sopraffatto dal compito che ci attende, grato per la fiducia che mi avete accordato, memore dei sacrifici sopportati dai nostri antenati. Ringrazio il presidente Bush per i servizi resi alla nazione e per la generosità e la collaborazione che ha dimostrato nel corso di questa transizione.
Quarantaquattro americani hanno prestato il giuramento presidenziale. Il giuramento è stato pronunciate in periodi di prosperità crescente, nella placidità della pace, ma in certi casi queste parole sono risuonate nell'infuriare della tempesta, con nuvole minacciose all'orizzonte. In quei momenti, l'America è riuscita ad andare avanti non soltanto grazie all'abilità o alla lungimiranza di chi ricopriva i massimi incarichi, ma grazie al fatto che Noi, il popolo, siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri antenati, fedeli ai nostri documenti fondanti.
Così è stato. Così dovrà essere per questa generazione di americani.
Che siamo nel mezzo di una tempesta è qualcosa di cui siamo ben consapevoli. La nostra nazione è in guerra contro una rete molto vasta di violenza e di odio. La nostra economia è fortemente indebolita a causa dell'avidità e dell'irresponsabilità di alcune persone, ma anche a causa della nostra incapacità collettiva di prendere decisioni difficili e preparare la nazione per una nuova era. Alcuni hanno perso la casa, alcuni hanno perso il lavoro, alcune imprese sono fallite. Il nostro sistema sanitario è troppo costoso; le nostre scuole lasciano indietro troppi studenti e ogni giorno ci porta nuove prove del fatto che il nostro modo di usare l'energia rafforza i nostri avversari e mette a rischio il pianeta.
Questi sono gli indicatori della crisi, misurabili con dati e statistiche. Meno misurabile, ma non meno profondo, è il prosciugarsi della fiducia in tutto il paese, un fastidioso timore che il declino dell'America sia inevitabile e che la prossima generazione dovrà ridurre il livello delle sue ambizioni.
Oggi io vi dico che le sfide che dobbiamo affrontare sono reali. Sono gravi e sono molte. Non potranno essere affrontate facilmente in poco tempo, ma l'America che deve sapere che le affronteremo.
In questo giorno ci siamo riuniti qui perché abbiamo scelto la speranza contro la paura, l'unità d'intenti contro il conflitto e la discordia.
In questo giorno proclamiamo la fine delle meschine rimostranze e delle false promesse, delle recriminazioni e dei dogmi consunti, che per troppo tempo hanno strangolato la nostra politica.
Noi restiamo una nazione giovane, ma, nelle parole delle Scritture, è venuto il tempo di mettere da parte le cose infantili. È giunto il tempo di riaffermare il nostro spirito di sopportazione, di scegliere la nostra storia migliore, di portare avanti quel dono prezioso, quell'idea nobile, trasmessa di generazione in generazione, la promessa donataci da Dio che tutti siamo uguali, tutti siamo liberi e tutti meritiamo un'occasione per perseguire appieno la felicità.
E riaffermando la grandezza della nazione siamo consapevoli che questa grandezza non è mai qualcosa di scontato. Ce la dobbiamo guadagnare. Il nostro viaggio non è mai stato un viaggio di scorciatoie, un viaggio in cui ci si accontenta. Non è una strada per chi non ha coraggio, per chi preferisce l'ozio al lavoro o cerca soltanto i piaceri della ricchezza e della fama. Sono stati coloro che si sono presi dei rischi, coloro che hanno fatto, che hanno fabbricato cose: alcune di queste persone sono state celebrate ma più spesso si è trattato di uomini e donne sconosciuti, che con la loro fatica ci hanno portato avanti lungo questa strada lunga e frastagliata verso la prosperità e la libertà.
Per noi hanno impacchettato i loro averi e hanno solcato gli oceani alla ricerca di una nuova vita.
Per noi hanno lavorato in condizioni durissime e hanno colonizzato l'Ovest; hanno sopportato lo sferzo della frusta e hanno arato la terra dura.
Per noi hanno combattuto e sono morti, in posti come Concord e Gettysburg, la Normandia e Khe Sahn.
Questi uomini e queste donne hanno lottato e si sono sacrificati, e hanno lavorato fino a consumarsi le mani perché noi potessimo vivere una vita migliore. Vedevano l'America come qualcosa di più grande della somma delle loro ambizioni individuali, di più grande delle differenze di nascita, di ricchezza o di parte politica.
Questo è il viaggio che noi proseguiamo oggi. Siamo ancora la nazione più prospera e potente della Terra. I nostri operai non sono meno produttivi di quando è cominciata la crisi. Le nostre menti non sono meno inventive, le nostre merci e i nostri servizi non sono meno necessari oggi di quanto non fossero la settimana scorsa, il mese o l'anno scorso. Le nostre capacità sono intatte. Ma l'epoca in cui si rimane cocciutamente fermi sulle proprie posizioni, l'era della difesa di interessi ristretti, l'era del rinvio delle decisioni sgradevoli, quest'era sicuramente è passata. A partire da oggi ci dobbiamo rialzare, ci dobbiamo scuotere e dobbiamo ricominciare a ricostruire l'America.
  CONTINUA ...»

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