«Nessun paese è veramente sulla giusta strada, quando si parla di azioni chiare e concrete per evitare gli effetti catastrofici del climate change». Ma GermanWatch, l'associazione non governativa che ogni anno stila la classifica ambientale dei buoni e dei cattivi, attribuisce comunque all'Italia una posizione non troppo onorevole: quarantaquattresima sui 57 paesi analizzati, ovvero quelli che rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali di anidride carbonica.
Diciamo subito che i primi tre posti, quelli sul virtuale podio della sostenibilità, non sono stati assegnati a nessuno, com'è già successo in tutte le precedenti edizioni del «Climate change performance index» della Ong tedesca. Tuttavia, insieme ai paesi europei che si distinguono di più (nell'ordine Svezia, Regno Unito, Germania, Francia e Norvegia) si sono aggiunti ai primi posti il Brasile (che è addirittura quarto), l'India e il Messico.
«Lo scopo del nostro rapporto - dicono esplicitamente a GermanWatch - è quello di esercitare una pressione, sia politica che sociale, sui paesi che sono più in ritardo sulle politiche ambientali». Il metodo di analisi si basa su cinque parametri: quattro che riguardano gli indicatori sulle emissioni-serra e la loro tendenza al rialzo o al ribasso; e un altro che giudica le politiche climatiche dei rispettivi paesi. Così, l'Italia si piazza a un poco onorevole 44° posto generale - dopo la Slovenia e prima della Russia - soprattutto per le politiche climatiche, dove raccoglie un basso punteggio.
A conti fatti, l'eroe di questo nuovo rapporto di GermanWatch è il Brasile (per effetto del suo uso di biocarburanti e per le prime, timide mosse nel tentativo di contenere la deforestazione) e l'infamia cade sul Canada, al penultimo posto prima dell'Arabia Saudita, a causa del suo crescente sfruttamento delle sabbie bituminose dell'Alberta: un ingente risorsa di idrocarburi e uno scempio ambientale.