PECHINO - «Non capisco. Non sono nemmeno amareggiata, ma sorpresa, incredula. Ho perso una medaglia, e non solo per colpa mia». È ancora gocciolante, appena uscita dalla piscina del Water Cube di Pechino dove ha visto naufragare il sogno di un oro olimpico, ma Federica Pellegrini appare lucida, di quella lucidità disincantata che spesso ti accompagna quando ti rendi perfettamente conto del perché e del percome di tutte le cose, pur senza riuscire ad afferrarne il senso ultimo, definitivo.
Campionessa europea e detentrice del record mondiale dei 400 stile libero, fresca record-woman olimpica (col tempo segnato in semifinale) Federica, nel giorno più atteso, arranca tra le onde prodotte dalle sue avversarie ch le nuotano sempre almeno un braccio avanti. E neppure si dimena, scalcia,sbuffa: il suo è uno sbracciare senza cuore, senza luce: ben presto capisci come andrà a finire, e finisce proprio così: le altre (la sorprendente britannica Adlington, poi l'americana Hoff e l'altra britannica Jackson) a lustrarsi le medaglie, l'azzurra a toccare la piastrella segnatempo addirittura per quinta, preceduta anche da una francese (non la Manadou, rivale di piscine e di cuore, che arriva staccatissima ultima e ottava, ma che almeno attacca nella prima parte della gara, fino ai 150 metri), ma l'altra transalpina Balmy. Il cronometro è una sentenza per le speranze di Federica: 4.04.56, a fronte del 4.03.82 della Adlington, tempo distante comunque anni luce dal 4.01.53 che la stessa Fede ha imposto come attuale limite delle umane (e femminili) capacità è sulla distanza.
Nel dopogara di Federica, insieme a questo aspro miscuglio di incredulità ed amarezza, c'è anche una coda polemica. «Non è solo colpa mia», dice l'azzurra alludendo alla scarsa abitudine dei nostri a gareggiare al mattino, non avendo avuto occasione di test agonistici di alto livello a queste ore per potersi abituare al tran-tran metabolico imposto, dalle tv americane, al programma del nuoto.
Ma passano pchi istanti e ci pensa Filippo Magnini, appena reduce dalla staffetta 4 x 100 stile libero più veloce della storia (ma purtroppo per gli azzurri vissuta nelle retrovie) ad attenuare la discussione: «A me non importa niente dell'ora in cui dobbiamo gareggiare. So solo che bisogna andar veloce e vincere. Ci siamo allenati tanto al mattino coni carici di lavoro più pesanti, quindi… Eppoi personalmente ho scoperto che al mattino mi trovo benissimo…).
Le parole di Filippo Magno arrivano dopo una gara di staffetta stratosferica, con Michael Phelps che dovrà come minimo offrire una cena a Jason Lezak, che con un'ultima frazione da 46.06 lanciato (semplicemente mostruoso!!) brucia il primatista mondiale Bernard in volata, stampa sul tabellone il 3.08.24 che è il nuovo record mondiale (anche i transalpini stabiliscono con 3.08.32 il primato europeo) e preserva il sogno del Kid di Baltimora di subentrare nella leggenda a Mark Spitz. Ma alla grandezza di una gara che vede sul podio anche l'Australia contribuiscono in tanti, a partire proprio dal canguro Sullivan che firma un fenomenale 47.24 in prima frazione (nuovo record del mondo), a Sua Maestà Phelps, che conclude la sua frazione in 47.51. Peccato che al gran banchetto non partecipino Calvi, Galenda, Belotti e Magnini (che pure, insieme alla Svezia quinta, nuotano sotto il precedente primato), con Filippo che inizia l'ultima frazione con tre metri di distacco dal terzetto di testa, che ha viaggiato costantemente al di sotto del precedente primato del mondo: «Sapevamo che al massimo avremmo potuto arrivare quarti. Abbiamo sperato in una squalifica di quelli che ci stavano davanti, non è arrivata e siamo fuori dal podio. Ma rimontare in ultima frazione distacchi del genere non è facile, credetemi…», spiega laconico Filippo Magno, con uno sguardo che chiarisce più di mille parole perché la spedizione azzurra stara cogliendo meno, molto meno, di quanto sperato.