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Festival Cinema Venezia 2009: recensioni film, interviste

 
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La "mala storia" della crisi raccontata da Moore

di Cristina Sivieri Tagliabue

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6 settembre 2009

Una rapina in banca, la vita nell'antica Roma e una domanda: cosa diranno le civiltà future, di noi? Comincia così l'ultima attesissima pellicola di Michael Moore dal sarcastico titolo "Capitalism, a love story", presentato ieri sera a Venezia. Perché ovviamente una storia d'amore non è. E perché la critica nei confronti del sistema capitalistico moderno parte da un attacco diretto alle banche. Il cuore del sistema dei profitti per i profitti, secondo Moore, e il centro del problema per un Paese che non è più una democrazia «perché in America il gap tra ricchi e poveri è diventato insostenibile» dice il movie-maker formato gigante.

Si parte dunque da una famiglia di Detroit, sfrattata il 9 febbraio di quest'anno per non esser stata in grado di pagare le rate del mutuo, e si finisce con un nastro adesivo con impressa la scritta «crime scene, do not cross» che circonda una delle maggiori banche americane. Perché se le aziende hanno stipulato assicurazioni sui possibili decessi dei propri dipendenti, e dunque guadagnato anche sulle perdite di giovani impiegati (le famiglie, ovviamente, non hanno visto un soldo) le banche si sono infiltrate nel sistema di governo, hanno condizionato leggi e manovre economiche (una per tutte, quella da 700 miliardi passata praticamente sotto silenzio negli Usa) e dunque vite intere. Togliendo pian piano ai più poveri per dar sempre di più, anche grazie ad un sistema di stock option che ben conosciamo, a pochi importantissimi manager.

Moore intervista uomini di Chiesa, vescovi e preti come Dick Preston che afferma quanto sia sbagliato un sistema che valuta tutto a seconda dei soldi guadagnati. Intervista giornalisti del Wall Street Journal che introducono al tema di «impresa collettiva», in cui il capitale sia diviso tra i dipendenti. Spiega come Bush, coi i suoi proclami del genere post-9/11 «people don't shop» abbia portato tutti ad ipotecare anche il non ipotecabile, ovvero la casa.

Il regista-documentarista arriva anche a mettere in dubbio che la concorrenza non sia di per sé una buona cosa, e sbeffeggia la Mecca del sistema economico mondiale, Wall Street, mostrando come ormai il mondo dei mestieri e delle professioni sia un nulla in confronto a chi gioca e gestisce prodotti, soldi, guadagni. Intervista suo padre, raccontando come sia stato in grado, con un lavoro "normale" alla General Motors, di pagare studi, casa e lunghe vacanze a tutta la famiglia, e far sì che la moglie non lavorasse. «Ora tutto è cambiato, però». E passa a raccontare come professioni come il pilota di aereo siano ormai sottopagate, al confronto di chi si è ben inserito nel mondo del business e delle lobbies. «Non voglio che guida l'aereo in cui sto viaggiando guadagni 17mila dollari l'anno e debba arrotondare facendo il cameriere in un fast food».

Insomma, Moore "Robin Hood", in questa pellicola che è un po' la sua "summa teologica" - la sintesi imperfetta di un pensiero, e di altri lavori come Sicko, Roger and Me e così via, che abbiamo visto nell'arco degli anni - ne ha davvero per tutti. Mezzo milione di posti persi nel 2008: «I politici dicono che il capitalismo sia il miglior sistema possibile perché permette loro di mantenere la leadership. In realtà non sta scritto da nessuna parte che l'America debba avere un sistema economico che cresce con i profitti, nemmeno sulla Costituzione».

"Capitalism" termina, dunque e Moore chiede a tutti di partecipare alla grande riscossa contro le banche. Avesse citato l'economia della felicità o un sistema alternativo rispetto a quello esistente, forse sarebbe stato più credibile. Certamente, propone due ore no-stop di contro-economia, informazione e anche di contro-politica dell'era Bush. L'arrivo di Obama, seppur positivo dal punto di vista del "sentiment", deve averlo fatto piombare in una crisi creativa. Poco citato, l'attuale presidente degli Stati Uniti probabilmente sarà, dal punto di vista dell'aspirazione e della ricerca creativa, il suo maggior ostacolo. Soprattutto se farà, come Moore pure gli augura, gran bene.

Il blog di Cristina Sivieri Tagliabue

6 settembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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