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L’archeologo del Mac inascoltato dai musei

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INTERVISTA A LUCIANO BERNI CANANI

L’archeologo del Mac inascoltato dai musei

Luciano Berni Canani, figlio di un diplomatico che collezionava avori e piccole porcellane, si definisce l’archeologo del Mac, movimento rimasto sepolto e dimenticato fino alla metà degli anni 80 del secolo scorso. L’economista e manager romano, classe 1941, iniziò a collezionarlo in modo sistematico dopo l’importante mostra pubblica del Mac organizzata nel 1984 da Luciano Caramel alla Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate (Varese). In vent’anni raccolse complessivamente 320 opere d’arte “concreta” tra grafiche, libri d’artista, sculture e dipinti di una quarantina di autori italiani e ne diffuse la conoscenza attraverso mostre, cataloghi e un’Associazione per la storia del Mac.

Signor Berni Canani, come nasce la sua curiosità per questo Movimento artistico?

Galeotto fu l’amico artista Franco Angeli, che mi aveva accompagnato a un’asta a Milano dove passava un’opera di Severini di mio interesse. In vendita c’era anche un dipinto da lui segnalatomi che mi colpì molto. Era di Atanasio Soldati (1896-1953), un pittore parmigiano concittadino di mia moglie. Era una tela dei primi anni ’50 che apparteneva alla sua stagione di “arte concreta”, un movimento all’epoca del tutto ignorato dal mercato, dai collezionisti e dai musei. Lo acquistai per qualche milione di vecchie lire e iniziai ad appassionarmi alla storia del Mac.

Il primo acquisto fu quasi occasionale, ma quale fu il secondo?

Studiando la storia del Mac avevo appreso che il movimento era nato alla Libreria Salto di Milano. Un giorno del 1988 mi recai dal più giovane dei figli di Salto e acquistai da lui per due milioni di lire un «Negativo Positivo» del 1951 di Bruno Munari, artista e designer milanese che avevo imparato ad apprezzare lavorando in Olivetti.

Quale è stato il suo ultimo acquisto del Mac?

Cinque tele bellissime del torinese Adriano Parisot, che comprai in blocco nel 2005 per proteggerle dalla dispersione: all’epoca speravo ancora che la mia collezione sarebbe confluita in un museo.

E poi che cosa successe?

Purtroppo né i tre principali musei italiani a cui mi rivolsi, ma neppure quelli francesi di Strasburgo e di Cholet si rivelarono interessati ad acquisire la mia collezione, che nel 2005 si trovava a Roma ed era costituita ancora da 103 opere (di cui cinque sculture) datate tra il 1948 e il 1958, omogenee per qualità e curriculum espositivo (Biennali di Venezia; mostra «Arte astratta e concreta in Italia» alla Gnam di Roma nel 1951) e pubblicate in cataloghi e monografie.

E adesso dove sono?

Le ho vendute poco a poco. L’ultima dismissione è avvenuta nel 2010.

Rispetto all’investimento iniziale, ha guadagnato rivendendole?

Non ho mai fatto il calcolo. Ho sempre collezionato senza pensare all’investimento. Se sono andato in pari è un successo. Pensi che fino al 2007 i prezzi reggevano e in asta un bel quadro del 1951 di Soldati costava 45.000-50.000 euro. Il 23 novembre scorso da Dorotheum di Vienna una «Composizione» analoga per misure e periodo è passata di mano a 25.000 euro.

Che cosa colleziona oggi?

Opere del Movimento Optical e di Arte Cinetica.

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