Roma, fine anni ’70, primi anni ’80. Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Nunzio, Piero Pizzi Cannella e Marco Tirelli, sei artisti molto diversi tra di loro, tutti nati negli anni ’50, lasciano il centro di Roma e stabiliscono i loro studi nell’ex-pastificio La Cerere nel quartiere popolare di San Lorenzo, dando vita ad un sodalizio che durerà una decina d’anni. Mostrano l’esigenza di un superamento dell’arte concettuale e minimalista, riaffermando le ragioni di un’arte tradizionale ma innovativa. Nell’estate del 1984 è il critico Achille Bonito Oliva, più noto per la Transavanguardia, a renderli celebri con la mostra «Ateliers». Seguono anni fortunati, con tante personali in gallerie e istituzioni italiane e internazionali che sottolineano l’originalità delle singole ricerche, ma nuociono al consolidamento del gruppo, come spiega Gian Enzo Sperone, tra i primi galleristi a sostenere questi artisti insieme a Fabio Sargentini de L’Attico a Roma e Annina Nosei a New York. «Il gruppo si era formato in un momento particolare del mercato, mentre la Transavanguardia, che aveva avuto particolare fortuna in America, declinava e i galleristi cercavano nuovi artisti. Ma il limite dei maestri di San Lorenzo era di non conoscere l’inglese, a differenza di Paladino. La prima personale di Gallo nella mia galleria a New York ebbe enorme successo: i prezzi erano molto bassi e vendetti decine di oli su carta e tela a prestigiose collezioni americane. In Europa avevano una buona copertura, con una presenza importante in Svizzera e la Galerie Di Meo a Parigi. Negli anni ’90 smisi di seguirli perché fui deluso: volevano correre singolarmente e in alcuni casi iniziarono a trattare con altri dealer, non capendo che miravo a valorizzare il Gruppo non il singolo, come ho imparato dal mio maestro Leo Castelli».
Oggi sono tanti i galleristi che li ripropongono ai collezionisti. La galleria Guidi&Schoen nella mostra «WelcHome», una collettiva sull’arte italiana per la nostra nuova casa, che riunisce artisti storicizzati e nomi più̀ contemporanei, con opere dagli anni '60 ad oggi, ha in vendita una tela di Pizzi Cannella per 25mila euro e un lavoro di Tirelli per 28mila euro. «Del gruppo – spiega Chico Schoen – chi ha gestito meglio il percorso sia artistico sia di mercato sono stati Nunzio, Bianchi, Tirelli e Pizzi Cannella e in generale i prezzi negli anni sono saliti e sul mercato oscillano in media tra 10mila e 50mila euro. Nunzio da sempre ha avuto un collezionismo più attento e attivo» conclude Schoen.
In fiera li ha portati di recente la Otto Gallery di Bologna a Miart 2016. «Su richiesta della direzione della fiera ho mostrato lavori storici di questi maestri, creati tra il 1985 e il 1995» racconta il direttore Giuseppe Lufrano che li segue dal 1992. «Abbiamo venduto diverse opere di Pizzi Cannella, che ha un linguaggio più accessibile e al momento è in mostra al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo (prezzi 10-15.000 euro fino a 150.000), Tirelli e Gallo, più sofisticati. Inoltre quest’anno durante Artefiera abbiamo dedicato a Tirelli una personale in galleria». Sempre a Bologna la Galleria de Foscherari ha presentato tra il 2014 e il 2015 una personale di Nunzio con opere recenti. «Nunzio è un artista poco presente sul mercato, caratterizzato da un controllo meticoloso e rigoroso sul suo lavoro, una scelta che si sta rivelando vincente» spiega Bernardo Bartoli della galleria. «Le sue sculture in legno combusto dalle forme minimali sono molto richieste dai collezionisti italiani e stranieri. Le quotazioni – in crescita – possono variare dai 20.000 ai 50-60mila euro o più». Un’altra galleria che li segue da tempo è Lo Scudo di Verona. «Questi artisti fanno parte di un mercato dell’arte sano– spiega Filippo Di Carlo – non sono ancora preda della speculazione che ha travolto inesorabilmente molti validi artisti. I lavori di Dessì, Gallo e Nunzio sono stati acquistati sia in Italia che all’estero trovando collocazione in raccolte pubbliche e private di altissimo livello. La rivalutazione nel corso degli anni è avvenuta costantemente e senza strappi, ad eccezione del sorprendente risultato in asta a New York di un capolavoro di Giuseppe Gallo, e a livello di cifre, a partire dal 2010, le quotazioni sono aumentate in una fascia tra il 30 e l’80%» conclude Di Carlo. Le Italian sale sono ancora un miraggio per questi artisti, un solido mercato internazionale e una storicizzazione sono i passi necessari prima di sbarcare a Londra. «Il salto nel mercato delle aste internazionali – spiega Marta Giani, Deputy Director del dipartimento di Arte Moderna e Contemporanea di Sotheby’s Italia – è di fatto l’ultimo passaggio che segue il rapporto tra gallerie e collezionisti privati. Le Italian sale rappresentano la consacrazione di questo processo». Concorda Mariolina Bassetti, presidente di Christie’s Italia e direttore internazionale del reparto di arte moderna e contemporanea. «Il potenziale c’è ma il mercato internazionale non è pronto. Per esperienza sappiano che l’arte italiana del dopoguerra deve crescere piano piano in coerenza con la sua storicizzazione, non può essere confusa con la velocità con cui fa prezzo il contemporaneo: commetteremmo un grave errore».
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