Prima le tensioni tra Trump e Kim Jong-Hu, ora le Olimpiadi a PyeongChang, la Corea rimane al centro dell’attenzione internazionale. Anche sul mercato dell’arte il paese asiatico negli ultimi anni ha fatto notizia per la rapida ascesa di un movimento artistico che presenta parallelismi con l’arte italiana del dopoguerra, il movimento Dansaekhwa (cioè pittura monocromatica), i cui prezzi dal 2015 a oggi sono raddoppiati. Il movimento raccoglie un gruppo di artisti che a partire dalla metà degli anni ’70 ha scardinato la pittura immergendo le tele e manipolando i materiali. «Quando ho iniziato ad acquistare questi artisti le opere si trovavano solo in gallerie coreane e pochi in Europa le conoscevano» racconta l’art advisor inglese Arianne Piper. «A Frieze London nel 2014 un grande dipinto di Ha Chong-Hyun degli anni ’70 costava 150mila dollari. Oggi queste opere non solo costano il doppio, ma per i privati non sono più disponibili perché riservate ai musei».
Tutto è iniziato con un libro. Nel 2013, Joan Kee, professore associato di storia dell’arte all’Università del Michigan, ha introdotto Dansaekhwa in Occidente con «Contemporary Korean Art: Tansaekhwa e Urgency of Method», la prima pubblicazione in inglese (l’uso della T è uno dei modi di scrivere il movimento). Poco dopo, a fine 2014, tre importanti mostre hanno aperto a Seoul, Parigi e Los Angeles, rispettivamente presso la Kukje Gallery, Perrotin e Blum & Poe. Decisiva è stata anche l’esposizione organizzata dalla fondazione belga Boghossian a Palazzo Contarini-Polignac a Venezia durante la Biennale del 2015. Subito si sono mosse le grandi gallerie: Park Seo-Bo è entrato nella scuderia di White Cube e Perrotin, Chung Sang-Hwa lavora con Levy Gorvy, il lascito di Yun Hyong-Keun è rappresentato da Simon Lee. Secondo il «Blouin Art Sales Index», non meno di 250 opere del gruppo composto anche da Cho Yong-ik, Chung Chang-Sup, Ha Chonghyun, Heu Hwang, Kim Guiline, Kwon Young-woo, Lee Dong Youb, Lee Ufan e Suh Seung-Wong sono state battute in asta solo nel 2016 con un balzo rispetto alle 80 opere vendute nel 2013. Nel 2017 è stato anche registrato il record per l’arte coreana con «Untitled» del 1970 del pioniere dell’astrazione Kim Whan-ki, venduta a 5,8 milioni di dollari a Seoul. L’artista Lee Ufan, che realizzerà una scultura a Kensington Gardens per la Serpentine, è stato poi al centro di un grande scandalo di opere falsificate. Anche le fiere d’arte si sono rivelate un luogo popolare per la promozione di questi lavori. Lo scorso marzo ad Art Basel Hong Kong la Kukje Gallery ha mostrato opere di Kwon Young-woo, uno degli artisti meno noti di Dansaekhwa, venduto a prezzi da 26.000 a 275.000 dollari. Durante Frieze 2016, il gallerista francese Olivier Malingue ha aperto un nuovo spazio a Londra con una mostra di Cho Yong-ik, 82 anni. Sebbene il suo record d’asta fosse 90mila $, i lavori dagli anni ’70 in poi furono valutati da 100mila a 180mila $ dollari e tutti venduti. In molti si chiedono se c’è rischio di una bolla.
«Il movimento ha avuto una ricezione positiva in Italia» commenta Bo Young Song, managing director della galleria Kukje Gallery, una delle più importanti a Seoul, che dall’apertura nel 1982 ha contribuito non solo ad affermare gli artisti coreani all’estero, ma anche a introdurre l’arte occidentale in Corea in un momento in cui il mercato locale era ancora molto nazionalista.
«Si può vedere una strana correlazione estetica tra Dansaekhwa e i dipinti di Piero Manzoni – continua Bo Young Song – e l’integrità concettuale del movimento è in sintonia con quella dell’Arte Povera». È d’accordo Arianne Piper: «Nato come movimento di pittura monocromatica alla fine degli anni ’60, Dansaekhwa ha somiglianze con altri sviluppi postbellici come lo Spazialismo di Lucio Fontana e i White Paintings di Robert Rauschenberg. Mentre in Occidente il bianco rappresentava una rottura con il passato e una cancellazione catartica degli orrori di guerra, in Dansaekhwa è un bianco stratificato e multidimensionale raggiunto in uno stato di meditazione».
Ma l’arte coreana non si ferma qui. Mentre negli anni ’80 è nata una corrente socio-politica detta Minjung come reazione al massacro di Gwangju, negli anni ’90, all’apice del mito capitalista, gli artisti sono stati influenzati (come in Giappone) dall’estetica del fumetto e si sono diffuse tendenze pop molto lontane dalla riduzione e dall’astrattismo degli anni ’70. Oggi, tra i contemporanei, ci sono nomi già noti sul mercato internazionale come Haegue Yang, che quest’anno ha vinto il Wolfgang Hahn Prize ed esporrà al Museum Ludwig di Colonia, e Lee Bul, che avrà mostre personali alla Hayward Gallery di Londra e al Martin Gropius Bau di Berlino (50-250mila dollari da Thaddaeus Ropac). L’artista è rappresentata anche dalla galleria newyorkese Lehmann Maupin, da dicembre a Seoul dove lavora con gli artisti coreani. Tra questi Liu Wei, Mr., Kim Guiline, Do Ho Suh (a marzo in mostra allo Smithsonian, prezzi 15-500mila dollari) e Se Ok Suh (a settembre in mostra da Maupin a New York). Altri artisti da tenere d’occhio sono Minjung Kim, allieva di Park Seo-Bo, ora in mostra da White Cube; Anicka Yi, entrata nelle collezioni Salamé e di Julia Stoschek e presente nella Whitney Biennial 2017; e Yee Sook-Yung, inclusa nella mostra «Viva Arte Viva» della Biennale di Venezia. Un artista ancora sottovalutato è Kim Yong-Ik, che la Kukje Gallery mostrerà ad Art Basel Hong Kong dal 29 al 31 marzo nella sezione Kabinett.
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