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Sul Pacifico l’arte è sfida culturale e politica

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INTERVISTA A SAM PARKER (GALLERISTA)

Sul Pacifico l’arte è sfida culturale e politica

«The Trip To Eureka #5», 1970 di William T. Wiley, acquarello e inchiostro su carta, 78 × 106 cm, set di sei opere
«The Trip To Eureka #5», 1970 di William T. Wiley, acquarello e inchiostro su carta, 78 × 106 cm, set di sei opere

Parker Gallery è una galleria di Los Angeles presente all’ultima edizione di miart nella sezione Generation con le opere di William T. Wiley, tra i fondatori della West Coast Funk Art, al fianco di Robert Arneson, Roy Robert Hudson e Roy DeForest. Sam Parker racconta l’attuale scena artistica in California.

Può presentare la galleria e gli artisti?

Il programma della galleria è dedicato a stabilire un dialogo tra artisti poco apprezzati degli anni ’60- ’70 e artisti emergenti contemporanei. Mi concentro molto sugli artisti che lavorano nel nord della California, dove sono cresciuto. La galleria si trova all’interno della mia casa nel quartiere Los Feliz a Los Angeles.

E la fascia di prezzo degli artisti che rappresenta?

I prezzi sono compresi tra 2.000 e oltre 200.000 dollari.

A miart ha presentato gli acquerelli degli anni ’70 di William T. Wiley: come combina la ricerca storica con gli altri artisti emergenti?

Il programma si alterna tra mostre di artisti contemporanei che presentano un nuovo corpo di lavoro e mostre di artisti più anziani con lavori che non si vedono da decenni. In un certo senso, questi diversi tipi di mostre riguardano sempre la scoperta: se si tratta di un nuovo lavoro o di un lavoro ricontestualizzato. Ogni estate organizzo una collettiva incentrata su una storia non raccontata. Non ho paura di presentare artisti che sono stati in gran parte dimenticati.

In che modo i movimenti artistici degli anni ’60 e ’70 influenzano gli artisti di oggi?

La zona della baia di San Francisco negli anni ’60 era un luogo molto importante per l’arte contemporanea. Era il ground zero del Free Speech Movement e la cultura in generale sfidava lo status quo in ogni direzione. Gli artisti nella Bay Area, dove c’era a malapena un mercato dell’arte, non avevano tante preoccupazioni commerciali come gli artisti che lavoravano a Los Angeles o a New York. Fu un periodo di idee e sperimentazioni fieramente indipendenti, che evitavano tendenze prevalenti come Pop o Minimal art. Alcuni di questi artisti sono diventati molto influenti per i giovani che lavorano oggi, poiché stiamo vivendo un momento molto simile di sfide culturali e di lotte politiche che hanno plasmato la creatività negli anni ’60.

Com’è la scena artistica a Los Angeles e come si è sviluppata negli ultimi anni? Sta crescendo? Come?

Sebbene sia a Los Angeles da soli tre anni, in questo breve periodo ho visto l’apertura di avamposti delle gallerie quali Hauser & Wirth, Spruth Magers e Maccarone, così come gallerie più piccole tra cui Karma International, House of Gaga/Reena Spaulings, Ibid e Parrasch Heijnen. Inoltre, c’è stata l’apertura di tre musei: The Broad, Marciano Art Foundation e il re-branding del Museo di Santa Monica come The Institute of Contemporary Art di Los Angeles. Quindi, inutile dirlo, sta crescendo.

Quali sono le difficoltà per una galleria di piccole e medie dimensioni a Los Angeles?

Qui non c’è la base di collezionisti come in altre importanti capitali dell’arte, in particolare New York e sono pochissimi rispetto al numero di gallerie ed è difficile competere. Ma qui c’è l’opportunità di sperimentare diversi tipi di modelli di galleria e di programmazione di nicchia. Non mostro artisti che tutti vogliano acquistare e sono stato abbastanza fortunato da trovare una manciata di collezionisti che non sono interessati a questo.

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