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La multiculturalità racconta la società

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La multiculturalità racconta la società

Elsa Ravazzolo Botner, direttrice della galleria A Gentil Carioca a Rio de Janeiro, fondata nel 2003 e gestita da tre artisti, Marcio Botner, Laura Lima ed Ernesto Neto, ci spiega l’attuale scena artistica brasiliana in relazione al tema dell’identità afro-indigena.

Perché è caldo questo tema?

Il sincretismo di elementi afro, indigeni ed europei s’intreccia nella cultura popolare, nella musica (“batucada” percussione e tipo di samba di eredità africana) nella letteratura e nella lingua – parole indigene sono utilizzate comunemente tutti i giorni – nel Brasile contemporaneo. Sarebbe impensabile parlare di arte brasiliana senza considerare la forza di questa mistura e multiculturalità. È questa contaminazione e convivenza che rende l’arte brasiliana unica. Il tema è molto complesso e mi permetto di parlare solo degli artisti con cui lavoro.

Come si è sviluppata questa tendenza?

Non è una tendenza, ma una presa di coscienza.

Quali sono gli artisti?

Nel nostro programma artistico ci sono Arjan Martins, che nei suoi dipinti parla delle tratte di schiavi afro-atlantiche, Maxwell Alexandre crea un ritratto crudo della società contemporanea delle favelas di Rio, narcotraffico, armi, religione evangelica, faglie di educazione pubblica ma anche la cultura funky e “empoderamento” afro (è un neologismo che identifica un senso di legittimazione e di potere all’interno della società); Opavivará! è un collettivo che tratta temi sociali sempre con ironia creando opere compartecipative; Vivian Caccuri utilizza musica e installazioni sonore per discutere di politiche sociali e condizionamenti storici e politici nelle comunità più disagiate e Guilherme Vaz ha vissuto molti anni in Amazzonia convivendo con tribù indigene.

Può descrivere qualche opera?

Il collettivo Opavivarà, nell’opera «Pajecumin» (“Sciamano bambino”, curumin parola di origine tupi che definisce bambino indigeno) esposto nella mostra «Utupya» alla Tate Liverpool (27/4 al 4/6/2018) è un “dispositivo relazionale” che intreccia due pratiche tipicamente brasiliane: quella popolare e tradizionale sciamanica della cura e la pratica popolare dei buffet self-service inserendo questo collage nel contesto dell’arte contemporanea (prezzi da 15-40mila dollari). Maxwell Alexandre nella serie «Reprovados» (“Rimandati”) non vuole solo dipingere gli abitanti delle favelas in situazioni di malessere, impoverimento ma in posizioni di potere (i prezzi vanno da 1.500 a 15mila $); Arjan Martins elabora pitture cartografiche che documentano il commercio di schiavi dall’Africa al Brasile. Nell’opera «Americas» le tratte afro-atlantiche prendono la forma di grandi caravelle, sestanti e globi terrestri come se trasportassero tutto il peso degli schiavi deportati (prezzi da 5-40mila $).

Chi compra le opere di questi artisti?

Importanti istituzioni brasiliane (Pinacoteca di San Paolo, Itau Cultural, Fondazione Pipa), musei internazionali come il Pérez Art Museum Miami sono stati tra i primi a comprare opere di Arjan Martin, la Pinacoteca di San Paolo ha anche comprato la prima opera che abbiamo esposto di Maxwell Alexandre.

Sono presenti in manifestazioni nazionali o internazionali?

Arjan Martins ha partecipato alla Mercosul Biennial 11 e ora è nella short list per il Premio Pipa 2018 che sarà proclamato il prossimo settembre, Maxwell Alexandre con «Histórias afro-atlânticas» al MASP e Instituto Tomie Ohtake. Pensando ad altri artisti Ayrson Heráclito era nel Padiglione degli Sciamani alla Biennale di Venezia 2017.

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