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Manifesti d’epoca da collezione

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Manifesti d’epoca da collezione

I manifesti pubblicitari di una volta sono nella memoria collettiva: le storiche locandine del Campari, dell’Alemagna o della Fiat le vediamo nei bar, nei mercatini. Cercando online se ne trovano a bizzeffe. Ma quanto valgono? Al contrario di quanto pensiamo, i manifesti pubblicitari storici da collezione sono rarissimi sul mercato. Scordiamoci, quindi, eBay. Per acquistare bisogna rivolgersi a gallerie specializzate. In Italia ce n’è una ad Alassio, L’Image di Alessandro Bellenda, che opera da anni nel settore ed è la sola italiana a far parte dell’International Vintage Posters Dealers Association, che garantisce determinati standard di qualità. «Il mercato è forte un po’ in tutto il mondo occidentale, dall’Europa all’America sino all’Australia – spiega Bellenda, – perché il manifesto è estremamente espressivo per natura e parla ad un pubblico internazionale. Purtroppo ha vissuto un po’ nascosto, non ci sono molte gallerie specializzate e, a volte, persiste la credenza che sia un multiplo, mentre non solo ha la dignità artistica di un quadro, ma anche la rarità». D’altro canto è la stessa natura del manifesto a renderlo così introvabile: stampato su un foglio di carta in poche centinaia di copie per essere appeso ai muri delle città, veniva poi strappato e gettato via. Le copie che ci sono rimaste sono quelle due o tre che andavano alla questura o rimanevano all’artista e allo stampatore. Forse si sono conservati un po’ meglio i cartelloni cinematografici, distribuiti nei cinema e poi non ritirati. Questo segmento ha raccolto più proseliti con alcuni record mondiali assoluti come «Metropolis» realizzato da Franz Schulz-Neudamm nel 1926 per il film di Fritz Lang pagato nel 2005 da un collezionista californiano 690.000 dollari o «Dracula» scambiato per 525.800 dollari. Ma ha anche suscitato qualche sorpresa: «The Mummy», classico dell’orrore, disegnato nel 1932 da Karoly Grosz, passato da Sotheby’s vent’anni fa per 453.500 dollari, è stato riproposto nell’asta online di Sotheby’s conclusasi lo scorso 31 ottobre– forse con stime eccessive 1-1,5 milioni di dollari – è rimasto al palo.

Il collezionismo di manifesti storici in Italia è iniziato tardi, diversamente dalla Francia o dal mondo anglosassone. I protagonisti in Italia verso la fine dell’800 sono i triestini Leopoldo Metlicovitz e Marcello Dudovich, Leonetto Cappiello, che emigrò in Francia, il tedesco Adolf Hohenstein, che lavorò in Italia per Giulio Ricordi. Poi il manifesto si legò alla storia della modernizzazione del paese, alla produzione industriale e allo sviluppo della società dei consumi: la Fiat, i grandi magazzini come Mele e Rinascente, le destinazioni turistiche, i grandi alberghi. Negli anni ’30 viene influenzato dalle avanguardie, poi, nel dopoguerra e negli anni del boom, il manifesto non è più l’opera di un singolo artista, ma frutto del lavoro di più creativi all’interno di un’agenzia, tra i più famosi Armando Testa e Ernesto Carboni. I manifesti degli anni ’60 sono meno preziosi, ma vista la rarità di quelli d’epoca il mercato comincia ad apprezzarli anche per i prezzi molto accessibili a partire da poche centinaia di euro. Se all’estero il riferimento per le aste è Swann Galleries a New York, in Italia la prima ad affacciarsi su questo mercato è stata Bolaffi, che nell’asta del 6 novembre offre circa 50 manifesti. «Siamo stati pionieri nel 1995 grazie ad un’intuizione di mio padre – dichiara Filippo Bolaffi, ad di Aste Bolaffi. – Allora nel mondo anglosassone c’era già un mercato, qui era un terreno inesplorato. Le prime aste furono un grande successo. Nel 1999 abbiamo segnato il record assoluto, ancora imbattuto, con “Fiat in pista” di Plinio Codognato: 220 milioni delle vecchie lire (oltre 113mila euro). Ma dopo quattro o cinque anni il mercato si è rarefatto e oggi è molto difficile parlare di un vero commercio. Sul web si trovano manifesti più recenti, ristampe o falsi». «In un’ottica di preservazione del valore, se si acquista il manifesto come bene rifugio, è bene fare molta attenzione allo stato di conservazione – prosegue Bolaffi –, che può incidere anche del 20-30% sul prezzo. Per pezzi rari si pagano 10-15mila euro. Solo nei casi di manifesti 'unici' sul mercato si arriva a più di 100mila euro». La genovese Cambi, forse complice anche l’aver ottenuto la vendita di una collezione di manifesti del Novecento appartenuta a Giovanni Benso, inaugura il 20 novembre la sua prima asta nel settore con 222 manifesti d’epoca con stima compresa tra 165.100 e 328.300 euro. «Abbiamo deciso di varare il nuovo dipartimento di “Carte del Novecento” – spiega il responsabile Sergio Pignatone – con un’asta dedicata ai manifesti pubblicitari, turistici e cinematografici in contemporanea con quella dedicata al design. Riteniamo questi due settori perfettamente compatibili: entrambi riscuotono un grande interesse internazionale e promettono un ampio margine di crescita economica». A livello museale importanti collezioni di manifesti sono al Mart di Trento e Rovereto e al Museo Salce di Treviso, dove c’è la collezione di Nando Salce.

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