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Casa «bastone della vecchiaia»: dal contratto di mantenimento alla nuda proprietà

La casa è un patrimonio che si rivela sempre più utile per affrontare le necessità economiche o di accudimento che possono sorgere invecchiando. Gli strumenti che permettono di monetizzarne il valore possono assumere diverse forme, ma sono riconducibili alla cessione dell’immobile in cambio di una rendita in denaro, alla vendita della nuda proprietà e al prestito vitalizio ipotecario (vedi scheda a lato).

Una strada alternativa che non prevede passaggi di denaro è il cosiddetto contratto di mantenimento: in questo caso la cessione della casa avviene in cambio dell’impegno della controparte a fornire un sostegno in termini di accudimento fisico e/o morale della persona che rinuncia alla proprietà. «Si tratta di un contratto atipico ma del tutto legittimo se conforme ai principi generali del Codice civile – commenta Pierluisa Cabiddu, consigliere nazionale del Notariato – e che sta aumentando la sua diffusione, soprattutto in alcune aree del Mezzogiorno».

Nell’accordo va stabilito con la massima precisione quali siano le esigenze di mantenimento e il tenore di vita da garantire, ad esempio in termini di cura della persona e della casa, o di preparazione dei pasti. «Ma a volte le persone anziane richiedono solo un supporto in termini di assistenza morale, compagnia o convivenza», precisa il notaio Cabiddu, che si è occupata della stesura della Guida “La terza età, strumenti patrimoniali, opportunità e tutele” in collaborazioni con 14 Associazioni dei consumatori.

Perché l’accordo sia valido deve essere aleatorio, deve essere cioè incerto e sconosciuto l’eventuale vantaggio o svantaggio per le parti al momento della firma: da un lato deve essere indeterminabile la speranza di vita del “vitaliziato”, dall’altra l’entità delle prestazioni di cui potrà avere effettivamente bisogno. «Se non c’è alea – spiega Cabiddu – il contratto è nullo, e alla morte del cedente, ad esempio, la casa potrebbe rientrare nel calcolo della legittima». Cioè la parte di eredità riservata per legge ai parenti più prossimi. Non è raro, tra l’altro, che questo tipo di contratto sia stretto tra consanguinei, ad esempio tra un genitore e uno dei figli che se ne prende (più) cura: in questo caso è importante dimostrare con chiarezza come il supporto fisico o morale sia a carico soprattutto o solo dell’erede beneficiario, per evitare rivalse da parte degli altri “legittimari”.

Perché il contratto sia valido, deve anche esserci proporzione tra le prestazioni garantite e il valore dell’immobile. «Se però, come in genere accade, il cedente si è riservato l’usufrutto – precisa Cabiddu – il valore di questo va sottratto da quello della piena proprietà, tenendo conto che l’usufrutto diminuisce di valore al crescere dell’età del cedente. Per questi motivi, aleatorietà e corrispondenza tra valore del bene e prestazioni erogate, non si può ricorrere a questi contratti quando si è troppo in là con gli anni».

Se si preferisce ottenere liquidità immediata e in un’unica soluzione, si può invece ricorrere alla vendita della nuda proprietà, che permette di continuare a vivere per il resto della vita nella “propria” casa (di cui si mantiene l’usufrutto o la riserva di abitazione).

Meno diffuso, nonostante la riforma del 2015, è il prestito vitalizio ipotecario, cioè la possibilità di ottenere una somma da una banca dando la casa in garanzia. In questo caso, se gli eredi non saranno in grado di restituire capitale più interessi alla morte di chi richiede il prestito, il debito verrà estinto con la vendita dell’immobilie. La formula prevede la maturazione “degli interessi sugli interessi” accumulati negli anni: il rischio è che gli eredi si trovino a dover restituire una cifra molto elevata se non vogliono perdere la casa. Per non fare lievitare gli interessi è però possibile saldarli anno per anno quando il richiedente è in vita.

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