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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2012 alle ore 08:28.
L'ultima modifica è del 13 novembre 2012 alle ore 09:01.

Spesso si sente dire, specie da parte di quelli che vivono di politica, che i beni culturali sono il petrolio dell'Italia. Sospendiamo il giudizio sull'eleganza del concetto e diamo per buono l'assunto. Spingiamolo, anzi, avanti, chiedendoci allora quale sia quel petroliere che, avendo trovato un buon giacimento, lo sfrutti in maniera scriteriata e non lo coltivi come una cosa santa. Il fatto è che in Italia, dovendo pensare a guadagnare consensi celeri per aver la garanzia di seguitare in un mandato amministrativo, sono pochi quelli che alzano gli occhi per guardare lontano. C'è da dimostrare - ora, subito, senza tanti discorsi - che la macchina è produttiva. Pazienza se andrà fuori giri e i nostri figli non ne potranno godere.
Chi s'oppone a questa linea fa la figura dello snob, del bastian contrario di professione, o - quando va bene - di chi vive fuori dal mondo. Quando si parla di quattrini si parla di cose serie. Il resto - com'è stato "autorevolmente" detto - è solo poesia. E con la poesia non si mangia. Allora io dico che, se si fosse parlato un po' più di poesia e un po' meno di quattrini, ci sarebbero oggi più persone colte e sensibili, e meno volgarità. E forse - m'azzardo a credere - ci sarebbe anche, da parte di tutti, una più attenta considerazione del bene comune e degli equilibri economici del nostro paese. Con beneficio dei più. Se i più contano ancora. E, in ultimo, disputando di poeti e manager, dovremmo anche chiederci in quale delle due categorie vadano ricercati i responsabili dello sconquasso finanziario in cui ci si dibatte.
Antonio Natali è direttore della Galleria degli Uffizi
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