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Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2013 alle ore 06:43.

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Il confronto televisivo di domenica tra i due sfidanti alla cancelleria ha rivelato uno dei caratteri meno evidenti ma più importanti di Angela Merkel: un'intelligenza forte ma ancorata alla rassicurante piattezza dei ragionamenti, riluttante ad approfondire le cause dei fatti o a ricercarne la responsabilità. Una «unidimensionalità» che ha purtroppo segnato negativamente anche il suo ruolo nella crisi europea.

Un primo indizio era giunto un mese esatto prima del voto, il 22 agosto scorso in occasione della prima visita ufficiale di un cancelliere tedesco a Dachau. Un romanzo tedesco pubblicato nel 2001 descriveva una visita a un campo di concentramento con una sola frase lunga dieci pagine prive di interruzioni, tanto era impossibile girare lo sguardo o tirare il respiro. Prima di diventare un simbolo delle atrocità naziste, Dachau era un paesaggio idilliaco che attraeva pittori come Fritz von Uhde e Adolph Hoelzel, ma da 70 anni il campo poco lontano da Monaco suscita solo, nelle parole accorate della cancelliera Merkel, «emozioni che mi riempiono di tristezza e vergogna».

Secondo le cronache, uscita dal campo di concentramento, l'automobile della cancelliera ha percorso il tragitto fino al palco elettorale allestito a Monaco dalla Csu in pochissimi minuti. Una folla festante l'attendeva sotto una tenda e Merkel, indossando lo stesso completo nero che aveva a Dachau, è passata dalle ceneri dei forni, alla schiuma della birra; dalla tristezza all'ebbrezza, dalla vergogna alla campagna, nel giro di un nulla. Verdi e socialdemocratici hanno definito moralmente grave l'episodio. Merkel non ha risposto.

Non era il campo di sterminio a lasciarla indifferente, dicono i suoi esegeti, ma le folle e i comizi. E lo si vede. La sua recitazione pubblica ha un repertorio minimo, sul palco sta retta con le mani intrecciate sul davanti, quando parla i movimenti sono solo verticali, la mimica facciale è incompleta. Ha un carattere forte e sensibile al tempo stesso, sa dare risposte abrasive ma non cattive. Quello che lascia trasparire è la solida consapevolezza della propria lucidità. Il mondo in cui è cresciuta era la pianura brandeburghese limitata da un Muro.

Lei vuole capire, un passaggio dopo l'altro, problema per problema e trovare soluzioni lineari. Ma il mondo non è né piatto, né lineare.
Che non siano le grandi visioni ad appassionarla lo hanno capito presto anche nel suo partito. Le tre anime che rendevano vitale il dibattito interno della Cdu di Helmut Kohl – l'anima nazional-conservatrice, quella cristiano-sociale e quella liberista – sono scomparse dopo che Merkel ne ha soffocato gli esponenti. Il partito si è trasformato in un'unica macchina elettorale per garantire la vittoria della cancelliera. La vendita dell'anima in cambio della preservazione non è un inedito nella cultura tedesca. Che cosa importa se per aumentare i consensi si indossano gli abiti ideologici degli avversari: quote rosa, pacifismo e uscita dal nucleare erano temi dei verdi, mentre il calmiere agli affitti e il salario minimo erano nel programma dei socialdemocratici. Non ci sono molte idee irrinunciabili o originali nella visione della cancelliera. In fondo le maggiori decisioni del suo governo sono state prese sulla scia di eventi esterni: la crisi europea ovviamente, ma anche l'incidente di Fukushima che ha dettato la sorprendente uscita dal nucleare.

Il programma della Cdu riflette infatti una visione piuttosto limitata della realtà. Il “futuro” che il testo del programma promette è solo quello “digitale”, per fare che cosa non è spiegato. Anche in questo caso a dettare il tema è un fenomeno esterno: l'autonoma trasformazione dell'industria verso la digitalizzazione dei processi, che farà coincidere produzioni di massa e servizio personalizzato al cliente. Un'evoluzione che darà altri dieci, forse venti anni di vantaggio competitivo della produzione tedesca su quella degli altri. Quindi un surplus della bilancia dei pagamenti ancora più alto a danno d'altri. Competitività e riduzione dei debiti sono la ricetta della superiorità tedesca.
La competitività spiega tutto ed è ragione di se stessa. Nel grafico si vede la variazione della produttività (Total Factor Productivity) tra il '98 e il 2008, come indicatore della capacità dei paesi europei di fare riforme. La classifica mostra come i paesi dell'euro-area più in difficoltà siano gli stessi in cui la politica non è capace di realizzare riforme utili alla competitività. Questa logica è diventata prevalente per Merkel. Ma in questa visione unidimensionale della politica, i paesi in difficoltà hanno inevitabilmente meno capacità politica e quindi meno valore. È nota la battuta berlinese: «Volevamo fare l'euro con un marco e un franco e ci siamo trovati anche quindici silvio». L'azione della Cdu si basa infatti su un pregiudizio di inaffidabilità politica dei partner. Tutti gli aiuti sono condizionati all'adempimento di programmi di aggiustamento e riforma, mirati a solidità finanziaria e competitività, imposti ai paesi da autorità esterne; gli aiuti inoltre sono erogati solo quando tutta l'euro-area è in pericolo e vanno limitati quantitativamente per non deresponsabilizzare il paese assistito, ma anzi tenerlo sotto la pressione educativa dei mercati. La responsabilizzazione – uno dei principi fondanti dell'economia di mercato – va portata in primo piano attraverso le regole di bail-in che impongono ai creditori privati le perdite di banche e stati. Anche se questi principi corrispondono a orientamenti ideologici più vicini ai liberali – la Cdu vorrebbe almeno estenderli a un'Europa integrata – Berlino li ha messi al sicuro con il potere di veto su tutte le decisioni fondamentali (in particolare sui fondi di assistenza) che vanno prese o all'unanimità o con maggioranze che garantiscono alla Germania un voto decisivo. Inevitabilmente prevale un criterio intergovernativo di decisione anziché comunitario. Questo almeno fino a quando tutti i paesi dell'euro-area non saranno ugualmente competitivi e privi di debiti.