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Scannapieco, la macchina dello Stato e l'orgoglio da ritrovare

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Scannapieco, la macchina dello Stato e l'orgoglio da ritrovare

Dario Scannapieco è vice presidente della Bei ed è venuto a trovarmi nella tarda mattinata di venerdì in via Monte Rosa a Milano per fare quattro chiacchiere in libertà. Ha voglia di raccontarmi che cosa è riuscito a fare come banchiere europeo per questo malandato Paese che continua a chiedere all'Europa di fare gli investimenti pubblici, ma non riesce a spendere i fondi comunitari che già ha, non sa fare i progetti, ha difficoltà enormi a passare dalla ideazione alla realizzazione.

Inizia così: «Approviamo progetti che poi per un motivo o per un altro non si realizzano e siamo costretti a farli tornare indietro, non è bello quando accadono queste cose, a volte è disarmante questa incapacità della macchina pubblica, di quella che una volta si chiamava buona amministrazione».
Si ferma un attimo, alza gli occhi al cielo, e si lascia andare: «A noi ci ha rovinato il titolo quinto, tutto quel potere alle Regioni, la moltiplicazione delle burocrazie e l'incapacità cronica di esaminare i dossier, di misurarsi con i problemi e di superare gli ostacoli». Si vede che gli pesa dire queste cose, lui nell'amministrazione pubblica ci ha sempre creduto, e proprio per tale ragione non si capacita di tanta confusione, ricorda lo spirito che animava i Draghi boys al Tesoro italiano riuniti nel Consiglio degli esperti, passa in rassegna con la testa gli anni alla guida della direzione generale del dipartimento finanza e privatizzazioni, la fortuna di poter contare in una certa fase su un ministro del Tesoro che risponde al nome di Carlo Azeglio Ciampi e legge tutti i dossier, fa le sue note a margine con tanto di evidenziatore e dà una gran mano all'uomo della macchina perché fa in modo che si accorga che non è più solo, che sopra di lui c'è qualcuno che sa guidare, ma sa anche ascoltare, conosce i segreti della gestione.

A un certo punto, si intravede un lampo che si stampa sulla faccia, brillano gli occhi e si apre a un largo sorriso. Domando: a che cosa pensi, che cosa ti sta passando per la testa? Mi guarda e fa: «Mi è venuta in mente una sera di quando in via XX Settembre si faceva notte, ricordo la guardia giurata che girava per i corridoi scuri con la pila in mano e me la piazzava in faccia, poi siamo diventati praticamente amici perché ci vedevamo quasi tutte le sere. Una volta, che avevo fatto più tardi del solito, mi chiede il permesso di potermi dire una cosa. Penso che mi debba chiedere qualcosa per un figlio, invece mi vuole mettere al corrente di una sua sensazione: dottore ho sempre pensato che il nostro sia un brutto lavoro, ma ho capito che il suo ci supera, è ancora più brutto».
Scannapieco racconta e io lo guardo incuriosito, ma percepisco visibilmente che mai lui ha potuto considerare brutto quel lavoro. Per uno partito da Amalfi, sempre il massimo dei voti e master in Business Administration a Harvard, quegli anni nei posti chiave della macchina della "competenza delle competenze" che è il Tesoro italiano sono rimasti dentro di lui. «Ricordi gli Indifferenti di Moravia? Ricordi Leo? Era un ministeriale, seduttore, certo arrivista e spregiudicato, ma il suo ruolo sociale era molto rispettato da tutti, se l'Italia vuole ripartire deve tornare a portare rispetto agli uomini dello Stato che ha saputo scegliere, non è da tutti scrivere una legge, non è da tutti studiare e preparare un dossier, ma bisogna sapere fare bene e presto, non bisogna perdere i bravi che ci sono e non bisogna avere paura di cercare i migliori sul mercato».

Scannapieco ha le idee chiare, sa dove tutto si ferma. Mi permetto di aggiungere che bisogna cercare i migliori e retribuirli come meritano perché hanno di fronte una sfida da far tremare i polsi. Se penso alla marea di lettere arrivate per commentare la testimonianza della signora Lorenza scappata giovanissima dal suo lavoro di archivista alla prefettura di Ferrara perché non sopportava un ambiente senza senso e senza merito, mi rendo conto sempre di più che la partita del futuro si gioca con la qualità degli uomini della squadra che guida la macchina dello Stato. Fu così per De Gasperi che poté contare su uomini del calibro di Pescatore e Saraceno e sull'intelligenza di un governatore della Banca d'Italia che si chiamava Donato Menichella. È stato così per Fanfani che volle Glisenti all'Iri e Bernabei alla Rai e molti altri. Deve esserlo anche oggi, a maggior ragione, perché i problemi sono ancora maggiori e chi ha le responsabilità più alte deve essere molto capace e molto motivato. Almeno questa è la regola di una società moderna, ai tempi di un capitalismo pieno di imperfezioni, e una migliore per ora non è stata inventata

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