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Le due parti in commedia del governo Renzi e il partito che non c’è

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SINISTRA, DESTRA E TERZO STATO

Le due parti in commedia del governo Renzi e il partito che non c’è

Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi
Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi

Con questo articolo Luca Ricolfi inizia la sua collaborazione come editorialista con il nostro giornale

Ma Renzi è di destra o di sinistra? O meglio: le politiche messe in campo dal governo Renzi sono di destra o di sinistra?
La domanda se la fanno in molti, chi con preoccupazione, chi con curiosità. Capisco la preoccupazione del mondo sindacale, che vede in Renzi il picconatore delle sacrosante conquiste del movimento operaio. E capisco pure la curiosità di chi, come il mondo del lavoro autonomo, ha sempre guardato con sospetto ai governi di sinistra, ben poco sensibili alle esigenze delle imprese, degli artigiani, dei commercianti, dei liberi professionisti. E tuttavia ad entrambi vorrei dire: non temete, Renzi è sia di destra sia di sinistra. Se guardiamo con distacco a quel che ha fatto in 10 mesi di governo è difficile, davvero difficile, stabilire se è stato più attento alle esigenze del lavoro dipendente o a quelle del lavoro indipendente. Nei primi mesi, il pendolo è oscillato decisamente a favore del mondo sindacale, al di là delle frecciate polemiche verso la Cgil: gli 80 euro in busta paga non sono certo stati un gesto pro-imprese, che si aspettavano semmai un abbattimento dell’Irap. Negli ultimi mesi, invece, il pendolo ha invertito il suo verso: il depotenziamento dell’articolo 18, l’alleggerimento dell’Irap, la decontribuzione delle assunzioni a tempo indeterminato sono tutti gesti che guardano più al lavoro autonomo che a quello dipendente.

Visto da questa angolatura, il consenso che Renzi riesce a convogliare verso di sé e verso il Pd non deve stupirci. Certo, ad esso contribuisce anche l’autolesionismo degli avversari: Forza Italia fa di tutto per autoaffondarsi, e il Movimento Cinque Stelle non fa nulla per diventare una cosa seria. E tuttavia la vera forza del governo Renzi sta nella sua capacità di fare sia cose tradizionalmente considerate di sinistra, sia cose tradizionalmente considerate di destra. In un certo senso l’esatto contrario del governo Prodi del 2006-2008, che con la sua (modesta) riduzione del cuneo fiscale, suddivisa fra lavoratori e imprese, finì per fare qualcosa che non appariva né di destra né di sinistra.
Se le cose stanno così, diventa abbastanza naturale prevedere che, nei prossimi anni, Renzi non avrà avversari. La sua politica economica, infatti, pare capace di realizzare due miracoli: recuperare, grazie al bonus, molti elettori delusi del centro sinistra, e attirare, grazie alla riduzione del costo del lavoro, molti elettori che un tempo si riconoscevano nel centro destra.

E tuttavia … Tuttavia c’è un piccolo problema. La società italiana è sempre meno una società divisa in due, con una metà che guarda a sinistra e l’altra metà che guarda a destra. Questa semplificazione poteva reggere, forse, quindici o venti anni fa, nel cuore degli anni ’90 del secolo scorso. Allora a fronteggiarsi, anche politicamente, c’erano effettivamente due società. Da una parte la prima società, ovvero il mondo dei garantiti, fatto di dipendenti pubblici e occupati a tempo indeterminato delle imprese maggiori, protetti dall'articolo 18 ma anche dalle dimensioni aziendali (secondo il principio “too big to fail”). Dall’altra la seconda società, ovvero il mondo del rischio, fatto di piccole imprese, lavoratori autonomi, operai e impiegati, tutti esposti alle turbolenze del mercato e sostanzialmente privi di reti di protezione.
Gli uni, i garantiti, guardavano prevalentemente a sinistra, gli altri, gli esposti al rischio, guardavano prevalentemente a destra.

Oggi non è più così. Non perché non ci siano più una società delle garanzie e una società del rischio, ma perché oggi c’è anche una terza società. Una società che c’era già prima, ma che negli anni della crisi è cresciuta di dimensioni, fino a diventare di ampiezza comparabile alle altre due. Questa terza società è la società degli esclusi, o outsider, nel senso letterale di “coloro che stanno fuori”. Una sorta di Terzo Stato in versione moderna. Essa è formata innanzitutto di donne e di giovani, ma più in generale è costituita da quanti aspirano a un lavoro regolare (non importa se a tempo determinato o indeterminato), e invece si trovano in una di queste tre condizioni: occupato in nero, disoccupato, inattivo ma disponibile al lavoro. Si tratta di ben 10 milioni di persone, più o meno quanti sono i membri della società delle garanzie così come i membri della società del rischio.

Ora, il dato interessante è che, ad oggi, questo segmento della società italiana è sostanzialmente privo di rappresentanza. E lo è per una ragione economica, prima ancora che politica. L’interesse degli esclusi è diametralmente opposto a quello dei garantiti, ed è in parte diverso da quello della società del rischio. La priorità degli esclusi è, per definizione, quella di essere inclusi. Il problema è che tale inclusione richiede scelte economiche molto diverse da quelle che hanno permesso a Renzi di dialogare felicemente con la prima e la seconda società. Includere, infatti, significherebbe puntare tutte le carte sulla creazione di posti di lavoro aggiuntivi (a noi ne mancano circa 6 milioni, se come riferimento assumiamo la media Ocse). Precisamente il contrario di quanto, nel comprensibile desiderio di attirare voti, il governo Renzi ha fatto finora e intende fare nei prossimi anni, almeno a giudicare dalle tabelle della Legge di stabilità, che per il 2018 prevedono ancora quasi 3 milioni di disoccupati.

Per capire perché gli interessi del Terzo Stato non siano in cima alle preoccupazioni di questo governo, basta riflettere sulle due decisioni cruciali di allocazione delle risorse effettuate nel corso del 2014, ossia gli 80 euro in busta paga e la decontribuzione per i neo-assunti. I 10 miliardi in busta paga sono, per loro natura, una misura a favore di chi un lavoro già ce l’ha, mentre un loro impiego per investimenti pubblici, o per abbattere l’Irap, avrebbero potuto dare una mano a chi un lavoro non ce l’ha. Quanto ai 5 miliardi di decontribuzione per i neo-assunti, possono apparire un provvedimento per generare nuova occupazione, ma lo saranno solo in misura minima perché, in assenza di vincoli di addizionalità (aumento del numero di occupati rispetto all’anno prima), finiranno per essere usati soprattutto per sostituire chi va in pensione o si dimette per maternità, senza creazione di posti di lavoro aggiuntivi. Un punto, quest'ultimo, su cui le preoccupazioni di Susanna Camusso appaiono tutt’altro che ingiustificate.

Ecco perché, a mio parere, il futuro del Pd e del governo Renzi è meno scontato di quel che può apparire a prima vista. Finché la terza società, la società degli esclusi, resterà sostanzialmente priva di rappresentanza, Renzi e il Pd potranno dormire sonni tranquilli, perché la loro capacità di recitare due parti in commedia, quella della sinistra e quella della destra, permetterà loro di rappresentare sia la prima sia, entro certi limiti, la seconda società. Se tuttavia la situazione cambiasse, e un partito, vecchio o nuovo, provasse a intercettare umori e interessi della terza società, il gioco del Pd si farebbe meno facile. Perché, allora, la domanda non sarebbe più se quel che fa Renzi è di sinistra o di destra, ma diventerebbe improvvisamente un’altra: può esistere una sinistra che lascia ad altri il compito di difendere gli esclusi?

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