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Dossier Unione appesa al doppio «fattore G»

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    Unione appesa al doppio «fattore G»

    «Qui si fa l'Europa o si muore»: sarà anche un'esagerazione parafrasare Garibaldi, evocare la battaglia di Calatafimi e il sogno dell'unità d'Italia di quel 15 maggio 1860. Non è però esagerato dire che in questi giorni si gioca una partita decisiva per il futuro del continente: della sua coesione, della sua stabilità politica, economico-finanziaria e sociale.
    Tra lo “scandalo” del massiccio Quantitative easing sovrano lanciato giovedì, nonostante l'opposizione dura e manifesta della Germania, dalla Bce di Mario Draghi per sconfiggere la deflazione e quello della Grecia che oggi, per la prima volta nella storia dell'eurozona, eleggerà un governo di estrema sinistra in rotta dichiarata con le politiche di austerità , corre il filo di due eventi del tutto “politically uncorrect”: fuori dagli schemi costituiti semplicemente perché quegli schemi, alla prova dei fatti, non hanno funzionato.

    Sia pure in modo estremamente diverso tra loro, entrambi gli eventi esprimono l'urgenza di una nuova Europa capace di rinnovarsi superando tabù e rigidità mentali, di ritrovare voglia e capacità di capirsi, solidarietà e fiducia reciproca nel rispetto dei patti su disciplina e riforme. Soltanto così l'Unione riuscirà a ripartire più moderna, dinamica e competitiva, in grado di stare al passo con il mondo globale.

    Ci riuscirà? Oggi soprattutto l'eurozona si trova davanti a un bivio fatale: o saprà rinserrare al più presto i ranghi con coraggio, lungimiranza e determinazione a scommettere su se stessa, malgrado i molti rischi e le enormi difficoltà, oppure il suo declino, che è demografico prima che politico ed economico, la trascinerà irrimediabilmente nel baratro.

    La risposta è legata all'enigma del doppio fattore G: G come Germania e Grecia, come il Paese più potente e rigoroso e quello più disastrato e anarchico del club della moneta unica: pesi specifici molto meno che equivalenti, entrambi espressione di estremismi opposti ma costretti ad incontrarsi nell'interesse collettivo. Pena il disastro.
    Mai come in questo momento l'economia europea, la più catatonica del mondo industrializzato, ha a disposizione molti fattori promettenti per crescere: euro debole, tassi bassi, prezzi del petrolio più che dimezzati in poco più di sei mesi. La politica monetaria della Bce, espansiva in grande stile e destinata a restarlo a lungo sulle ali di un'iniezione di liquidità da 1.100 miliardi (per ora). Gli incentivi alle riforme strutturali varati dalla Commissione Juncker, lavorando negli interstizi flessibili delle regole del patto di stabilità: tanto più un governo si impegna a modernizzare il proprio Paese, tanto più potrà ottenere tempi più lunghi e dosi meno amare di rigore, oltre che più margini per gli investimenti.

    E le riforme sono non solo il complemento essenziale per rendere davvero efficace la politica di Draghi ma lo strumento per recuperare convergenza e competitività dentro l'eurozona e ricrearvi la fiducia perduta. Per poter così tornare a parlare dopodomani di nuove cessioni di sovranità nazionale per creare l'unione economica (e di qui quella politica), cioè il pilastro mancante ma fondamentale dell'unione monetaria.
    Non ci fosse l'incognita delle due G, oggi sulla carta esisterebbero le condizioni per cambiare passo alla governance europea. Nella realtà, invece, c'è il pericolo dell'arroccamento su barricate opposte, del dialogo tra sordi, della rottura. Anche se la posta in gioco per tutti è troppo alta per crederlo davvero.

    Dopo l'apparente conversione centrista Alexis Tsipras, il leader di Syriza dato vicente, dice che la sua Grecia non rispetterà gli accordi di austerità. Se così fosse, ogni negoziato sul debito diventerebbe impossibile. Con il programma di assistenza che scade il 28 febbraio, il Paese andrebbe al collasso disordinato. E sui mercati anche per l'euro sarebbero probabili dolori.

    Le rigidità elleniche accentuerebbero inevitabilmente quelle tedesche. La Germania ha già digerito molto male sia il primo via libera della Corte di Giustizia europea alle operazioni Omt della Bce sia l'ultima svolta di Draghi. Le due decisioni complicano la vita al governo di Angela Merkel che deve fare i conti con la fuga di consensi verso l'Afd, il nuovo partito anti-euro, e per questo appare irremovibile sul traguardo del deficit di bilancio zero nonostante l'economia non brilli.

    Le prossime settimane si annunciano travagliate e sussultorie. Alla fine è molto probabile però che prevarrà il buon senso. Non solo perché la Merkel vuole che «la Grecia resti parte della nostra storia nonostante le difficoltà» ma perché un divorzio sarebbe il principio della fine dell'euro. Meglio le riforme, un rigore temperato, un debito con scadenze più lunghe e interessi meno onerosi: costerebbe molto meno a tutti. Anche a Tsipras.

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