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Dossier Europa, da Nord a Sud l’avanzata dei populisti

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Dossier | N. 4 articoliEuropa, da Nord a Sud avanzano i populismi

Europa, da Nord a Sud l’avanzata dei populisti

Il nuovo governo di Atene è il laboratorio politico del malcontento europeo, una “strana coppia” formata dalla sinistra anti-sistema di Syriza e dalla destra xenofoba e antisemita dei Greci indipendenti.

Denominatore comune, la volontà di mettere fine alle politiche di austerità imposte da un’istituzione ad hoc e sovranazionale, la troika formata da Bce, Commissione e Fondo monetario internazionale. Partiti che meglio di quelli tradizionali sono riusciti a interpretare la narrativa di una crisi economica senza precedenti - e nel caso della Grecia devastante – raccontando e promettendo agli elettori le possibili soluzioni: più spesa pubblica e meno tasse. Come sempre da questo piccolo Paese del quale continuiamo a dire, facendo finta di minimizzare, che «rappresenta solo il 2% del Pil dell’eurozona», può partire un’onda lunga destabilizzante in mezza Europa. Stavolta, però, legata anche al rischio politico. L’economia spiega molto, ma non tutto, altrimenti non si comprenderebbe il fenomeno visceralmente anti-europeista di Ukip nel Regno Unito, Paese che viaggia a un ritmo di crescita prossimo al 3% e verso un regime di piena occupazione. Non si capirebbe nemmeno perché nella stabile Germania, anch’essa con un tasso di disoccupazione fisiologico, il fuoco comincia a covare sotto la cenere e agli anti-euro di AfD si sono aggiunti gli inquietanti raduni xenofobi e anti-islamici di Pegida.

Il risultato di Atene, spettacolare nelle sue dimensioni, non è tuttavia sorprendente. È coerente con quanto abbiamo visto nel maggio scorso alle europee in un arco elettorale che comprende Nord e Sud, periferici e core: l’ascesa contemporanea di forze politiche, agli estremi opposti, che avevano e hanno il chiaro obiettivo di riappropriarsi di sovranità e prerogative nazionali venute meno durante la gestione della crisi da parte delle istituzioni europee.

Quella dei partiti euroscettici o anti-sistema, giudicata dal think tank Eurasia Group uno dei maggiori rischi politici per il 2015, è una minaccia “trasversale”. Affianca infatti movimenti di sinistra e di destra, dal Sud “povero” – quella periferia giudicata il ventre molle dell’Eurozona, sempre più insofferente nei confronti dell’austerity – al Nord più ricco e virtuoso, che vive con crescente irritazione la prospettiva di dover pagare la cattiva gestione delle finanze pubbliche dei partner.

I partiti di sinistra sono più forti nei Paesi periferici: in particolare – Grecia a parte- in Spagna, dove Podemos, nato appena un anno fa, è accreditato dei maggiori consensi secondo i sondaggi in vista delle elezioni politiche del prossimo autunno; ma anche in un altro Paese sottoposto a salvataggio (e a un drastico piano di risanamento) come l’Irlanda- che voterà nel 2016 - si è assistito negli ultimi mesi a un boom del Sinn Fein, storico alfiere della battaglia repubblicana che ha accentuato le sue caratteristiche di partito sinistra, opponendosi ai tagli sociali e all’imposizione di nuove tasse universali come quella sull’acqua pubblica.

A Nord, ma anche nell’Europa centro-orientale, tendono invece ad affermarsi partiti nazionalisti o populisti di centrodestra, che allo scetticismo nei confronti dell’euro o dell’Europa affiancano generalmente accenti di chiusura nei confronti dell’immigrazione quando non apertamente xenofobi. Il caso più emblematico è quello del Pvv olandese, il Partito della libertà di Geert Wilders, tornato in testa nei sondaggi dopo una fase di appannamento coincisa con le elezioni europee. Ai toni xenofobi e anti-Islam il partito ha affiancato nel tempo una critica sempre più decisa nei confronti dell’euro e dell’Unione europea, accusata di far pagare all’Olanda il prezzo dell’indisciplina di Stati membri come la Grecia, la Spagna o l’Italia. Ma anche nei Paesi scandinavi cresce il peso dei partiti assimilabili al Pvv: in Finlandia e Danimarca, dove si voterà quest’anno, e soprattutto in Svezia, dove il ruolo ormai decisivo giocato dai Democratici svedesi ha prodotto alla fine dell’anno scorso una crisi di governo poi rientrata.

La nota anti-euro è quella prevalente nel tedesco Alternative für Deutschland, finora attestato attorno al 7% dei consensi, che potrebbe però guadagnare un ulteriore impulso dalla saldatura con il giovane movimento anti-islamizzazione Pegida.

Guardando agli appuntamenti elettorali dell’anno non si può trascurare la Gran Bretagna, dove l’incognita che grava sui tradizionali attori della politica nazionale è l’avanzata dell’Ukip di Nigel Farage. Il voto di maggio rischia già di essere un referendum sulla permanenza o meno di Londra nell’Unione europea. Il calendario ci risparmia quest’anno ulteriori patemi solo perché in Francia le presidenziali – nel 2017 – sono relativamente lontane.

Ma è senza dubbio in questo Paese, dove il Fronte nazionale di Marine Le Pen è stabilmente il primo partito dalla primavera scorsa, davanti sia ai socialisti che ai neogollisti dell’Ump, che il potenziale destabilizzante è più elevato. Una donna dall’intelligenza pericolosa e che è stata capace di intercettare fin da tempi non sospetti il malessere di un Paese assediato dalla crisi economica e da un’integrazione difficile con la più grande popolazione islamica d’Europa, non è più un presidente ineleggibile. Anche se non probabile, è diventato un presidente possibile. Ecco perché ha esultato ieri, alla vittoria di un partito, Syriza, ormai solo apparentemente agli antipodi del suo Fn.

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