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Dossier Le Pen cavalca il ritorno del nazionalismo

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Dossier | N. 4 articoliEuropa, da Nord a Sud avanzano i populismi

Le Pen cavalca il ritorno del nazionalismo

Tra le tante voci entusiaste che lunedì scorso si sono alzate in Francia per inneggiare alla storica vittoria di Syriza ci sono quelle di Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen. I leader, veri o potenziali, di due schieramenti politicamente opposti ma entrambi portatori di un messaggio anti-europeo intriso di populismo e demagogia.

Mélenchon guida il Front de gauche, movimento a sinistra del partito socialista creato in occasione delle elezioni presidenziali del 2012. Il suo sogno è quello ci riuscire a riunire l’estrema sinistra movimentista, i comunisti, i frondisti del Ps e i verdi per creare un’alternativa credibile al partito del presidente François Hollande e del premier Manuel Valls. Se in cinque anni il Pasok è passato dal 43% a meno del 5% e Tsipras dal 4% al 36% perché in Francia non potrebbe accadere lo stesso? Tanto più che sulla carta i numeri di partenza sono interessanti: questa coalizione, stando ai risultati delle europee dell’anno scorso, partirebbe da una base elettorale di circa il 17 per cento.

In realtà si tratta davvero solo di un sogno. Lo scenario sociale francese non è certo quello greco e manca quindi la spinta di un malessere così profondo – vicino alla rivolta - da consentire il superamento dei tanti, troppi steccati (ideologici, culturali, personali) che dividono le possibili componenti di quella che sembra più un’armata Brancaleone che un soggetto politico in grado di rappresentare un’alternativa agli occhi dell’elettorato.
Ben diverso è il caso della Le Pen. In quattro anni – da quando cioè, il 16 gennaio del 2011, ha sostituito il padre Jean-Marie alla guida del Front National – ha rivoltato come un guanto il partito dell’estrema destra francese. Ha cacciato o marginalizzato i nostalgici dell’Algeria coloniale e i fascisti duri e puri, ha aggiunto un solido capitolo sociale ed economico a un programma fino ad allora incentrato quasi esclusivamente sui temi della lotta all’immigrazione e della sicurezza, ha costruito un forte radicamento territoriale in realtà (agricole e operaie) spesso trascurate dai partiti tradizionali, ha aperto le porte a una nuova generazione di quadri (a livello nazionale e locale) che si sentono affrancati dal peso ingombrante del vecchio Front National.

Ed è riuscita a far passare il messaggio che la nuova contrapposizione sulla scena politica francese non è più quella, anacronistica, tra destra e sinistra. Bensì quella tra “patrioti” ed “europeisti”. In quest’arena, lei ovviamente incarna la rivolta del popolo contro i diktat di Bruxelles, l’orgoglio e la dignità dei francesi rispetto alle imposizioni dei tecnocrati della Commissione. E ai discorsi di tutte le anime belle che vantano i meriti del multiculturalismo, del multietnico, del multireligioso.
Il risultato è abbastanza impressionante. Alle legislative del giugno 2012 il Fronte ha ottenuto il 13,6% dei voti e due deputati (entrando per la prima volta in Parlamento nonostante un sistema maggioritario penalizzante e le anomale alleanze destra-sinistra ai ballottaggi). Alle comunali del marzo 2014 ha conquistato undici città. Il 28 settembre scorso, in occasione del rinnovo parziale del Senato, ha ottenuto due posti alla Camera Alta. Ma soprattutto alle europee dell’anno scorso il Front National è diventato il primo partito, con il 25% dei consensi.

L’obiettivo a breve è ora quello di consolidare e rafforzare le posizioni alle elezioni provinciali di marzo (con l’obiettivo di vincere in sei dipartimenti) e di strappare una o due regioni in dicembre. In vista ovviamente dell’unico appuntamento elettorale che conta davvero in Francia: le presidenziali del 2017. Tutti i sondaggi dicono che la Le Pen dovrebbe arrivare nettamente in testa al primo turno, con il 28-31 per cento. Stando a una rilevazione shock di fine 2014, se il suo avversario al ballottaggio dovesse essere Hollande potrebbe anche andare a sedersi all’Eliseo.
E da lì cercare di contrattare un recupero di sovranità che di fatto sancirebbe la fine del progetto europeo. Minacciando in caso contrario un referendum per sancire l’uscita di Parigi dall’Europa.
È molto probabile che questo non accadrà, che la Le Pen nel 2017 non vincerà. Perché alla fine la maggioranza dell’elettorato – spaventata da una simile prospettiva e non esasperata come quella greca – le sbarrerà la strada (destra e sinistra stanno peraltro già immaginando una grande coalizione anti-Front National). E perché lo stesso partito, cresciuto e cambiato molto in fretta, è attraversato da tensioni (quelle interne alla famiglia Le Pen, quelle sui tanti omosessuali nel gruppo dei più stretti collaboratori di Marine, quelle sulla violenza degli attacchi alla comunità musulmana) che non gli consentono di trasmettere la necessaria immagine di compattezza e di rassicurante solidità.

Rimane soprattutto irrisolta la questione cruciale della mutazione genetica da partito extra e anti sistema – garanzia fino a oggi di successo – a forza politica di governo. Come testimonia un piccolo episodio di questi giorni, che ha scatenato molte polemiche anche all’interno del Fronte: il premio come sindaco dell’anno assegnato a Steeve Briois (anche lui omosessuale) da una giuria di giornalisti politici per l’elezione a primo cittadino di Hénin-Beaumont, roccaforte frontista del Nord-Est. Un vero evento sul quale nessuno avrebbe scommesso anche solo un anno fa.
Ma non c’è alcun dubbio che il Front National sia ormai un soggetto politico centrale e la Le Pen pensa che questo problema verrà superato dai fatti, con la dimostrazione sul campo che il Fronte è già in grado di governare, che il fosso è già stato saltato. Per farlo, deve assolutamente ottenere la guida di altri enti locali, una tappa vitale nella prospettiva del 2017. E si getta quindi con tutta la forza di cui è capace (tanta) in ogni competizione, continuando a parlare alla pancia degli elettori più che alla loro testa. Non c’è d’altronde giorno in cui non le vengano serviti degli assist. Dalla decisione di Bruxelles di chiedere alla Francia il rimborso di aiuti all’agricoltura per un miliardo ai sondaggi secondo cui il 51% dei francesi ritiene che la religione musulmana non è compatibile con i valori della società francese.

Certo, il giudizio pressoché unanime degli osservatori è che la Le Pen non si sia mossa con la consueta abilità nei terribili giorni degli attentati parigini (fino alla mancata partecipazione alla marcia repubblicana dell’11 gennaio). Ma il tasso di adesione alle tante manifestazioni pro-Charlie in tutto il Paese è stato inversamente proporzionale al peso elettorale del Fronte. E i prossimi appuntamenti con le urne ci diranno se la Francia vera è quella dell’unità nazionale che è scesa in piazza o quella silenziosa che è stata a casa e voterà la Le Pen.